«E ora, che ne sarà del mio viaggio? Troppo accuratamente l’ho studiato senza saperne nulla. Un imprevisto è la sola speranza. Ma mi dicono che è una stoltezza dirselo…» [E. Montale]
QUATTORDICI ANNI PER DIRE
CHE L’AIAS AVEVA RAGIONE?
Sono cose lontane. Risalenti al marzo del 2011. Ma significative dell’aria che si respira a Pistoja in àmbito giudiziario, avvocatesco, notarile, medico e di pubblica amministrazione. Senza tralasciare qualsiasi altro settore del vivere in-civile.
Le vicende sono note. Luigi Bardelli partì in quarta e mandò l’Aias a quel paese, decidendo di fondare una nuova entità (Apr), che poi è tutta confluita nella Maria Assunta in Cielo (buon per lei, che ci sta meglio).
C’è voluta la bellezza di 14 anni per poter giungere in porta o a dama che dir si voglia. Una partita interminabile che lascerà tutti con l’amaro in bocca, perché questa giustizia – quella che piace tanto ai sinistresi, al Csm, alla Anm, ai politicamente corretti, ai preti, ai frati e alle monache – è un disastro: come lentezza e, soprattutto, come qualità.
Nel frattempo il fu Luigi Egidio Bardelli non tenne mai un basso profilo, anzi! Ciò non era mai stato nel suo carattere.
L’uomo discussissimo, quello per cui si fermò perfino il con[s]iglio comunale cittadino; sempre molto determinato, roboante, indispettito e aggressivo nei confronti di chi scrive, che non gliela lasciava libera quella sua strada aperta a forza in nome degli ultimi e della misericordia divina: mi trascinò prima dinanzi alla disciplinare dei giornalisti (e prese torto); poi, non contento, in tribunale.
Qualche anima buona della procura (non ricordo chi) mi rinviò a giudizio. Un atto che si concluse nel 2017 con la piena assoluzione da parte di Luca Gaspari, all’epoca abbastanza fresco di Pistoja e ancora non infettato dal mal-del-luogo: il vile ossequio a Pm, sostituti e «autorità costituite».
Sul caro estinto e la sua Apr avevo scritto centinaia di articoli. Come fanno, del resto, tutti i giornalisti di questa terra, anche se non aperta come la desidera il famoso karaoker Curreli.
Cito, senza far nomi, quelli del Fatto Quotidiano o di Repubblica o del Corriere o della Stampa o di quel che vi pare e piace.
All’epoca – fresco, appunto, di Pistoja – Luca Gaspari non si lasciò intimidire e manipolare dai “demiurghi” del Terzo Piano. Si attenne ai fatti: cosa che non ha assolutamente onorato con la ventina dei quereloni del maxiprocesso politico imbastito da Claudio Curreli, Giuseppe Grieco e altri. Gaspari mi assolse con formula piena perché il fatto non costituiva reato.
Non è reato, infatti, parlare, anche centinaia di volte – o addirittura migliaia –, delle stesse cose e delle stesse persone, se ciò riguarda argomenti, provatamente veri, di interesse pubblico e generale. La critica è libera, libero il pensiero, l’opinione e la satira.
Nella maxi-bufala curreliana di stampo politico-ideologico, mi sarei aspettato, da Gaspari, più rispetto in termini di coerenza e di diritti costituzionali, perché tutto ciò che avevo scritto sui quereloni pistojesi (le punte restano comunque il ragionier non-dottor Romolo Perozzi e il mai-comandante Andrea Alessandro Nesti), era frutto della stessa mia mano; dello stesso mio stile e dello stesso mio modo di fare giornalismo senza dover sopportare tanta pruderie da parte degli obbedientemente pedissequi censori-Vpo dell’era di “Linea Libera = stampa clandestina”.
In questi giorni ho assistito, in aula, a una dichiarazione, a di poco raccapricciante, di un Vpo filosofo in difesa di Nesti, appunto. Colpito, da parte mia, da centinaia di articoli contro il mai-comandante, vittima della perversione di chi scrive.
Ma la questione, caro Vpo vittima di “caporalato giudiziario”, va ontologicamente posta in altri termini, come direbbe il capo Tommaso Coletta.
Trecento articoli per Nesti e i suoi danni non sono né persecuzione né diffamazione: sono, piuttosto, la prova provata che la procura di Pistoja, a prescindere da tempi e persone, è un guscio di cicala vuoto; un esoscheletro fragile di una giustizia che fa acqua e danni da tutte le parti.
O altrimenti, 15 anni di usurpazione di un posto di comandante, non si sarebbero mai trasformati in uno stato marcescente di fatto in cui un non-vincitore di concorso occupa un posto pubblico senza averne diritto e titolo.
Poi fate pure quello che vi pare, cari tiranni delle nostre vite e sotto-tiranni di piccolo cabotaggio soggetti alle bizze dei padroni d’Italia.
Ci sarebbe mai stato, altrimenti, uno sconquasso come la spudorata vicenda Aias-Apr, o come il maxiprocesso-Gaspari contro Linea Libera, o come la verminosa storia della Comunità Montana, o come gli arresti dei vigili (Turelli, Vilucchi, Gatto) e chissà quante altre, se la procura pistojese avesse svolto il proprio compito «con disciplina ed onore»? Io non credo.
Come credo che non sbagli affatto Carlo Nordio nel sostenere che i Pm e i loro succedanei e sub-infeudati Vpo, fanno danni per problemi profondi di megalomania iper-chirurgica invasiva, pretendendo di preservare gli italiani dalla peste, ma lasciando però in giro tutti i ratti, che ne sono la causa, liberi di diffondere il male incondizionatamente.
E ora, tutti insieme, o pistojesi orgogliosi della vostra pura inconsistenza, godetevi la lettura integrale della decisione della Cassazione, fresca fresca (30 dicembre scorso) di deposito, quale lapide tombale in ciò che fu uno sconcio tutto vannifucciano.
Requiescant in pace, amen.
Edoardo Bianchini
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