FRA LINOTIPISTI, STENOGRAFI, FLANI
E PUZZO D’INCHIOSTRO
MI AVVICINAI al giornale (1967) perché mi davano fastidio troppe cose che si vedevano in giro per strada a Quarrata.
Pensai (con quella prerogativa di cui perlopiù la maggior parte della gente si priva appena raggiunta la maggiore età), che qualcosa andava fatto. E fu allora che decisi di parlarne con Vivaldo Matteoni, lo storico edicolante di Quarrata che, in quanto anche attore di prosa, aveva stretti contatti con Paolo Emilio Poesio, il critico teatrale della Nazione.
Gli chiesi di chiederglielo, ma la soluzione era molto più vicina: «Lo dico a Odoardo Cateni – mi rispose –. È lui il corrispondente del giornale da Quarrata».
Così fu e così iniziò un lungo tirocinio (più o meno cinque anni) non senza problemi. Mi sarei dovuto interessare dello sport (pensate: ho iniziato con il calcio, una disciplina – permettetemi – che detesto: e l’ho seguìto per 18 anni!), ma anche e soprattutto di tutto ciò che accadeva in giro. Ovviamente sotto la direzione di Cateni.
In illo tempore la redazione della Nazione di Pistoia era così strutturata: Adriano Tosi, professionista, capo servizio; Alberto Ciullini, pubblicista, nerista e giudiziaria; Valeriano Cecconi, professionista a contratto (politica e varia) con La Nazione e la Rai; Enzo Cabella, pubblicista, àmbito sportivo.
C’era anche Mazzino Gargini, professionista (?) in pensione e vari altri personaggi che ruotavano intorno alla redazione pistoiese, allora in Galleria Nazionale, in un appartamento di proprietà della signora Bardelli, la madre del futuro patron di Tvl-Tv Libera Pistoia, Luigi Egidio, quello del Canto al Balì. Una padrona di casa che era sempre tra i piedi a guardare come le veniva tenuto il suo prezioso appartamento.
Insieme alla redazione c’era anche l’ufficio della pubblicità, in cui, oltre a una giovane e simpatica Cristina, lavorava anche Mauro Lubrani, pubblicista che si occupava della pagina di Montecatini, successivamente assunto e fatto professionista proprio per quel servizio (subentrò a Vasco Ferretti, pubblicista). Era questo il «pianeta Nazione» 1967-72, unico giornale sulla piazza.
Con Odoardo Cateni succedevano cose strane. Magari facevi un pezzo e lo vedevi uscire con la sua firma. Un vero mistero della fede. La regola era: il pezzo lo dai a me che a mandarlo con il fuori-sacco a Firenze ci penso io.
Il pezzo, ovviamente, doveva passare il suo imprimatur. Ora io sono molto buono e tranquillo, poi perdo la pazienza. E venne anche il tempo di perdere la pazienza quando, per avere scritto qualcosa che dava sul nervo all’allora amministrazione di Vittorio Amadori, qualcuno telefonò a Cateni e gli fece il cosiddetto “cazziatone”. Un fatto che fu immediatamente rovesciato sull’autore vero del pezzo: quel ragazzino giovine che ero io.
Quello che avevo scritto era vero, santo e giusto – anche se dava noia al “potere”. Per cui persi la mia infinita pazienza e scrissi a chi di dovere: «Che debba fare il corrispondente di fatto, ma che mi debba sentir sottoposto alle censure di chi corrispondente lo è ma non lo fa… O le carte cambiano oppure vi attaccate. Amen!».
Fu il tempo in cui era caporedattore centrale il dottor Gastone De Anna, anche presidente dell’ordine (a Palazzo Strozzi) quando in Toscana c’erano poco più di qualche centinaio di iscritti. La Nazione si stava ristrutturando e decideva di far passare tutte le cronache locali sotto la pagina della provincia.
Così Quarrata transitava dalle mani dirette di Tiberio Ottini, seduto a Firenze in via Paolieri 2, a quelle intermedie di Adriano Tosi che non ebbe difficoltà a sposare le mie rivendicazioni e che, un pomeriggio mi portò personalmente da Da Anna: «Dottore, ecco Bianchini. È in gamba e sa scrivere da giornale». De Anna era un bel signore con capelli pepe-e-sale ondulati e dei bellissimi maglioncini disegnati alla scozzese, da delirio.
E poco tempo dopo, a secco, Odoardo Cateni passa da corrispondente a vice, mentre io passo da collaboratore sportivo a corrispondente da Quarrata.
Erano i tempi in cui Luca Frati – che oggi ci parla di deontologia all’Hard Rock Café di Firenze, dove una sciocca prende il microfono e senza ritegno dà stura alla bocca… – veniva a fare, ancora giovincello, le cronache giallorosse (il Quarrata sfoggiava quei colori) della serie D.
E a volte anche Maurizio Naldini, poi diventato inviato della Nazione. Lui giungeva con la sua lettera 22 (celestina, se non ricordo male) in mano: e una volta, allo stadio, gliela presero e gliela sfasciarono. Tanto che De Anna, qualche giorno dopo l’accaduto, lo chiamò (a quanto mi raccontarono) e gli disse: «Guardi, quella è la sua scrivania!».
Così Maurizio, che frequentava lettere moderne in piazza Brunelleschi, dove io frequentavo lettere classiche, volò fra gli “eletti del paradiso” – con ogni merito, perché lo ricordo ancora: era bravo.
Un’altra cosa rammento e devo dirla per forza: l’incazzatura bestiale di mia madre quando Odoardo Cateni, un po’ a sfottò, venne fuori con una frase infelice: «Che roba! Il figlio di un falegname vuole diventare giornalista…».
Ma Odoardo era così e andava preso per quello che era. Non me la sono mai presa con lui. Era sostanzialmente una brava persona che a volte parlava troppo.
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Delitto di cronaca, critica, satira e memoria storica
Anche Cristo era figlio (seppure adottivo) di un falegname
One thought on “sistema marcio. GIORNALISTI VIL RAZZA DANNATA 5. IL BATTESIMO: UNA MOSCA SULLO SPECCHIO E TANTA RABBIA DENTRO”
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