IL PAZIENTE AL DOTTORE AMMALATO
«MEDICO, CURA TE STESSO!»
Amore in gentil cor prende rivera
Per suo consimil loco,
Com’adamas del ferro in la minera.
Guido Guinicelli
Commento prosastico:
L’amore per il partito
è attratto verso quelli
dello stesso partito,
come la calamita
in una miniera di ferro…
OGNI VOLTA che mi arriva la Newsletter dell’Ordine dei giornalisti della Toscana, mi si piglia male e mi si porta via, come direbbe il poeta.
Recentemente, di queste comunicazioni, ne ho viste passare due, che mi hanno fatto rizzare anche i capelli che non ho più da tempo: mi sono addirittura rinati all’istante, per rizzarsi.
Premetto: per il presidente Carlo Bartoli ho grande stima. Lo rispetto, l’ho votato e lo rivoterei senza problemi. Lo ricordo quando teneva Il Tirreno di Montecatini, all’epoca in cui io tenevo la pagina di Quarrata-Agliana-Montale su Pistoia (caposervizio Giuliano Fontani, anni 89-93). Bartoli era persona semplice e corretta e come tale lo vedo ancor oggi.
Ma quando si entra in un altro campo, che non dipende da lui, ma da chi gli sta intorno (e, in nome della libertà di stampa e dell’informazione sono chiaro: le commissioni di disciplina), allora le cose cambiano completamente, ed è assolutamente inutile che l’Ordine di Carlo Bartoli ci parli
♦ di un collega che dà di fuori e va per suo conto; e che, per questo, viene segnalato alla disciplinare
♦ della necessità di sostenere la libertà di informazione negata ai giornalisti ungheresi
I primi veri nemici dei giornalisti e della loro libertà, sono, egregi colleghi combattenti per i princìpi, quelli che, i princìpi, se non se li mettono tutti e sùbito sotto i loro augusti piedi, se li tengono schiacciati al caldo sotto il culo, come cuscino per le loro scrivanie, quelle stesse che gli hanno fruttato uno stipendio non eccezionalissimo, ma tutt’altro che povero; almeno lauto, per tutta la vita. Una vita – e lo dico in piena libertà di coscienza e informazione – che spesso ha corso lungo binari di partito e di potere.
Intanto giornalisti non si diventa: se si diventa, è perché ti fanno diventare; e se ti fanno diventare è perché – come i prèsidi all’Azzolina – sono funzionali al sistema. Quindi traetene le debite conseguenze da voi.
Poi, una volta che sei diventato perché «cooptato», se adotti e vivi il motto «occhio non vede, cuore non duole», farai – per sempre – una vita tranquilla e, in molti casi, anche una bellissima carriera. Altrimenti avrai qualche piccolo problema, specie oggidì con così tanti democratici radical in giro.
Perché oggidì? Perché finché le commissioni di disciplina erano formate da tutto l’Ordine dei giornalisti, più difficile era pilotare i “processi” dei cattivi giornalisti (di cui io faccio parte attiva, lo sanno tutti).
Ma appena si è fatta la riforma con «tromboviolinate» e rulli di tamburo, ecco che sono fioriti bouquets di colleghi che, trinitari come i collegi tribunalizi, poggiano su un presidente plenipotenziario e onnicomprensivo (altro che Salvini!) che fa e decide tutto: fino al punto di autonominarsi presidente e/o relatore e/o quel che vuole; e che fa e disfa a suo piacimento. Meno male che tutti i giornalisti sono antifascisti!
In tre (presidente, relatore, membro) si fa presto ad «accomodare le partite»: addirittura, ci si può scegliere, anche, per colore, sapore e odore come si fa con le sostanze in chimica. Praticamente la perfetta presa di potere della sinistra, a partire dai decreti Bassanini, ha infettato, in maniera tirannica e dittatoriale, tutto e tutti: i dirigenti pubblici, con il potere di determina, fanno quel che cavolo vogliono; le commissioni di disciplina, con poteri simili, fanno uguale e anche di più e peggio. E a volte anche con una vomitevole sfrontatezza. Avete presente Palamara che dice «mi sono fatto prendere la mano dal sistema»? Ecco: così. Tanto nessuno fa nulla per correggere la vergogna – come è accaduto per Palamara, appunto.
Ho almeno un paio di esempi (se non tre) di commissioni di disciplina, che sono più storte delle gambe dei cani: colleghi (?) che si divertono un mondo a «fare i giudici» (una sorta di «invidia penis potentiae»?) e che, allo stesso modo di certe toghe rosse, decidono in partenza – per usare una definizione alla Levi – chi sarà il sommerso e chi il salvato.
Non voglio entrare nel merito che – lo dico con chiarezza, come peraltro ho già annunciato all’Ordine stesso – sarà oggetto di esame in separata sede: voglio solo dire che ogni iscritto all’ordine, nel suo percorso professionale, è legato a un filo colorato; e che quel filo colorato può entrare a far parte di un ordito e di una trama, oppure, come nella tessitura, essere preso con le pinze (un tempo lo facevano a Prato le donne che lavoravano sulle pezze di tessuto) e gettato via senza tanti inchini. Anche perché un filo, come una noce in un sacco, non fa rumore.
Con questo non intendo accusare l’Ordine dei giornalisti: la stessa situazione si ripete, identica e corporativamente immutata, in tutte le altre professioni, per cui tutti gli ordini vanno spazzati via con le ruspe da discarica.
Qui parlo, per conoscenza diretta, del mio Ordine, al quale sono iscritto dal 1972 (48 anni); e di alcune delle sue commissioni di disciplina che hanno dato il meglio di sé, come anche in passato ho avuto modo di dire.
Era il 31 mar 2016
Oggi non vorrei essere il collega indicato alla disciplinare per scorrettezze; né vedo, però, come si possa chiamare la categoria a raccolta per lottare a favore degli ungheresi, quando proprio da noi, in primo luogo, dovremmo partire a rimoralizzare il malcostume del pregiudizio ideologico che in Toscana si chiama minio del Pd e collegàti.
Qualcuno dei benpensanti, anche se non verrà a dirmelo sul muso, penserà: «Ma chi te lo fa fare, bischero?». Ma la risposta è la più semplice di questo mondo.
Non ho mai avuto paura, non ho mai avuto favori da nessuno, mi è stata negata (al contrario) la maggior parte dei diritti che avevo, anche da colleghi che lavoravano al mio fianco e che hanno testimoniato nel tribunale del lavoro che non mi avevano mai visto o quasi: cosa volete che mi faccia impressione? Vedere che un iscritto del Pd viene salvato da una sospensione nonostante una palese macroscopica incompatibilità e un conclamato conflitto di interesse, mentre a me si mettono i bastoni fra le ruote perché, per dirla alla livornese come il baccalà, rompo i coglioni?
La cosa mi fa un baffo dove ne ho un altro. Continuo a camminare dritto per la mia strada. Ognuno è libero di fare quello che vuole e io, personalmente, per di più, sono sempre stato e resto libero. Cosa mi farà un’altra censura o, magari, anche una sospensione?
Una volta passato l’esame professionale, resto, incancellabilmente, quello che sono a prescindere: «semel sacerdos, sempre sacerdos». Chiedete spiegazione al legale dell’Ordine: lui sa di cosa parlo.
Non ho paura e comunque dirò quello che è, descrivendo la realtà dei fatti: anche se – lo dico subito e posso anche dimostrarlo – sono stato perfino minacciato dai difensori della libertà di stampa, col dire che sarei andato incontro a grane se avessi mostrato certi documenti delle commissioni di disciplina.
Je m’en fous! E la mia domanda è: contro chi devo manifestare per la mia libertà? Contro il governo di Viktor Orbán oppure contro certi Catoni Censori della disciplinare toscana?
E soprattutto: i giornalisti devono nascondere il sudicio sotto il tappeto o devono scoprire e mostrare tutte le discariche di una categoria che spesso è peggiore – in metafora – di tutte le «terre dei fuochi»?
Pace e bene, fratelli. Ma soprattutto, ravvedétevi, ché è l’ora!
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Diritto di tutti i diritti umani
La verità viene prima di qualsiasi interesse di parte e di partito, di ordini, contrordini e disordini
One thought on “sistema marcio. GIORNALISTI VIL RAZZA DANNATA 9. UNA MOSCA SULLO SPECCHIO E TANTA RABBIA DENTRO. LOTTIAMO PER LA LIBERTÀ DI STAMPA, MA CE LA MERITIAMO DAVVERO? SIAMO VERAMENTE CANI DA GUARDIA FEDELI DIFENSORI DELL’INFORMAZIONE O È SOLO UNA POSA?”
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