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SE TU TOCCHI IL MAGO OTELMA
TI RITROVI NELLA MELMA
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LA SCENA di questo teatrino da burattini – ricordo quello di 60 anni fa, nella pineta di Viareggio, con due protagonisti famosi, Pentolino (il furbo) e Marmitta (il coglione) manovrati da Pippo Zazzà – si svolge tra Perugia e Pistoia e parte dal 2015. Quanti «hanni» sono, scriverebbe la ministra Fedeli?
Nasce un contenzioso civile per lavori fatti o non fatti a regola d’arte. Nasce la necessità di una perizia e ambo le parti la presentano. Una cosa banale nella banalità di una giustizia che ogni giorno si confronta con questi banali battibecchi.
Di solito i giudici sonnecchiano, sbadigliano, leggono il giusto e anche meno, si fanno prendere per mano dagli avvocati furbacchioli e poi “decidono”. Fra virgolette perché, non di rado, non lo fanno «a ragion veduta» ma «a ragion creduta». Chi ha orecchie per intendere, intenda. La realtà è questa: o volete negarlo?
Dopo un bel po’ di tempo, al perito di Pistoia giunge un bel capo di imputazione (firmato dal pm dottor Luigi Boccia) con rinvio al giudice di pace (in questo caso, forse, di pece), l’Avv. Ilaria Bagnoli.
Nel capo d’imputazione si legge: «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, comunicando con più persone, offendeva la reputazione di *** ***** proferendo, al suo indirizzo, le frasi…» artt. 81 e 595 codice penale.
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Leggo queste frasi offensive e criminose e, scusatemi, ma mi piscio addosso dalle risate. Da nessuna parte è scritto – all’indirizzo del permaloso perito umbro – quello che Il Vernacoliere avrebbe scritto all’indirizzo di Hobbes da parte di Cartesio.
Al contrario, le osservazioni sono semplicemente espressioni di una opinione di perito che contesta l’attendibilità della perizia della sua controparte; il tutto condito da una battuta finale talmente offensiva da dover essere, necessariamente, lavata con il sangue: “neppure il mago Otelma arriverebbe alle conclusioni a cui è arrivato il perito umbro”.
Porca puttana! Lo avessero detto a me, avrei preso l’auto, sarei corso a Pistoia e avrei scaricato un intero caricatore contro il criminale che mi ha offeso, lo giuro su Bergoglio!
Che un bischero qualsiasi si senta offeso anche se gli dài semplicemente il buongiorno, è ormai cosa normale in un paese come l’Italia in cui, grazie alla scuola comunista di don Milani, nessuno sa più leggere e scrivere, fare di conto e, purtroppo, capire l’italiano – anche solo elementare. Succede ogni giorno dappertutto, e normalmente anche fra i cosiddetti colleghi giornalisti, che ci spiegano i princìpi più puri della deontologia di chi lavora con le parole…
Il grave è quando un magistrato della repubblica ti rinvia a giudizio un «agnello di dio» solo perché ha scritto, ovviamente a suo modo, una sua «insindacabile opinione» tecnica. E mi dispiace per il dottor Luigi Boccia, che non è la prima volta che legge, senza comprendere l’italiano, e rinvia a giudizio a prescindere con il simpatico copia-e-incolla.
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Mi dispiace anche perché, nel caso dovesse pensare di querelarmi in quanto si sente offeso da questo mio giudizio, sarà bene che pensi anche che, nell’ordinamento in cui si muove, le professioni e i mestieri sono regolati e delegati a categorie ben precise di persone e (ne prenda atto), in questo specifico caso, sto parlando come tecnico della lingua, linguista laureato in grammatica e retorica, e docente deputato dallo stato (con tanto di abilitazione e non solo) a esercitare, come l’analista in laboratorio, l’analisi della lingua italiana nei suoi contenuti. E non è superbia: è semplicemente un dato di fatto (e di diritto).
Nel caso di specie, il dottor Boccia non ha capito niente nelle espressioni criminose incriminate. O, se preferite, ha toppato. Quante volte mi sono chiesto, stupito, mentre esaminavo i miei studenti all’università, come avessero fatto a arrivare fino in facoltà se non capivano le mie domande, di solito di una disarmante semplicità!
Andiamo avanti. Boccia sbaglia tutto e la cosa finisce in mano all’Avv. Ilaria Bagnoli, giudice di pace, per la decisione di merito. La faccio breve? La signora non esce dal solco: «deus vult», è come nelle crociate: dio lo vuole.
E, proseguendo sul binario morto di Boccia, la dott.ssa Bagnoli mena il can per l’aia fino a un paio di mesi fa. Accerta l’estrema offensività della parole del perito pistoiese; a mio giudizio non capisce – nemmen lei – l’italiano e, dopo uno squasso (= un monte pauroso) di rinvii e di richieste di perizie suppletive e di controperizie, condanna il pericolosissimo criminale pistoiese. Ecco: un infame bandito in meno in giro e… giustizia è fatta.
Non voglio stare a esaminare le circonvoluzioni mentali con cui il giudice di pace ha esternato il distillato della sua scienza giurisperita: voglio solo – da tecnico della lingua e al contempo da giornalista e da semplice cittadino – richiamare l’attenzione sul fatto che, in questo paese, non si può andare avanti così con gente che la giustizia non la stasa e non la stura, come il mio idraulico Andrea Poli, ma invece di mettere l’idraulico liquido nella palla del sifone, versa dentro al lavandino anche i fischietti della minestra residua e la verdura spappolata che sono rimasti nel piatto, ingolfando l’ingolfabile.
I campioni di esegesi tecnico-stilistica, lo capiranno che in questo momento sto parlando per metafore e in termini umoristico-satirici o penseranno che li sto offendendo pericolosamente e che sto attendando alle sacre istituzioni patrie?
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Detto questo, chi volete che sia quel bischero di straniero che viene a investire in Italia se minimamente pensa che, da noi, per una battuta su Otelma, un pm ti rinvia a giudizio e un giudice di pace ti condanna costringendoti a ricorrere in appello e intasando ancor di più lo scarico del lavello di Bonafede, el Libertador dei mafiosi?
Il coraggio, se uno non ce l’ha, non può darselo, dice il Manzoni. L’intelligenza men che meno, dico io.
Mi torna in mente mio cognato buonanima che, chiamato a giudicare un povero ubriaco che aveva pisciato alla porta di un bar, preso di notte dai carabinieri e denunciato per atti osceni in luogo pubblico, chiese all’imputato perché lo avesse fatto.
E l’imputato, al momento sobrio, rispose candidamente: «Signor giudice… non ce la facevo più e allora, dopo aver letto l’insegna che diceva “Bar Cessi”, mi sono avvicinato e l’ho fatta lì».
Se pensate che mio cognato l’avesse condannato, vi sbagliate di grosso, o cacciatori implacabili di delinquenti abituali! E quando vedeva delle denunce di questo tenore o del genere di mago Otelma, non caricava di più il somaro, già tronco, della giustizia. Mandava a chiamare chi di dovere e, con le buone maniere, lo invitava a non rompere i coglioni per futili motivi.
Lui, pur con i suoi limiti, come del resto tutti, ma giudice di altri tempi, di altra preparazione e di assoluta imparzialità, non aveva studiato alla media unificata di Barbiana da don Milani. Lo avevano preparato a quel compito una famiglia di giuristi e magistrati di spessore e – mi sembra a Napoli – i gesuiti, quegli stessi di Bergoglio, feroci in tutto, specie nel sapere e nel pretendere che si sapesse.
E ora, se credete, strascinatemi pure in aula perché ho espresso un personale (ma certificatamente qualificato) giudizio. Ormai in questa Italia radical-Rolex, in cui non c’è nessuno al prioprio posto (da Mattarella a tutti gli altri da tutte le parti), c’è da aspettarsi di tutto, no?
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Diritto di Amleto: parlare e non star chéto
Temete, litiganti sventurati,
più delle liti stesse, gli avvocati.
Perché «In tribunale chi vince, perde; e chi perde, perde due volte» [proverbio siciliano]