“SNOWPIERCER”, UN TRENO METAFORA DELLA VITA

Una scena del film
Una scena del film

UN FILM fantascientifico agghiacciante, “Snowpiercer”, più nella metafora della vita reale che racchiude piuttosto che nelle scene, del visionario regista coreano Bong Joon Ho classe anagrafica 1969 (“The Host”, “Mother”) ispirato alla graphic novel francese degli anni Ottanta “Le Trasnperceneige” Editoriale Cosmo, di Lob, Legrand e Rochette.

È la storia di un lunghissimo treno mosso a folle velocità, in un futuro poco lontano, da un motore a moto perpetuo intorno alla Terra, viaggiando senza sosta dopo che il mondo è stato travolto da una nuova Era glaciale che dura da 17 anni, provocata da inettitudine ed avidità. A bordo, divisi tra vagoni rispecchianti le classi sociali, i sopravvissuti. Nella sezione di coda, dove stanno le classi più basse, serpeggia la rivolta, a causa del freddo e della fame.

Alla testa del treno gli eletti, che si lasciano andare ai piaceri di alcol e droghe, immersi nel lusso. Curtis (Chris Evans, “Capitan America”), giovane capo della sezione di coda, fomenta una rivolta che cova da tempo. L’intenzione è di liberare l’intero convoglio, così con i suoi compagni tenta la presa della locomotiva in testa al treno, dove si trova il signor Wilford (Ed Harris), guardiano della sala macchine; devono riuscire a percorrere le varie “stazioni” per affrancarsi dalla servitù.

Un film globalizzato, se si pensa che il regista è coreano, lo sceneggiatore statunitense, il soggetto francese, scenografi e teatri di posa cèchi, il cast anglo-statunitense-coreano oltre al rumeno Vlad Ivanov.

Con qualche scena eccessivamente violenta, la pellicola tiene incollati alla poltrona, con un’irriconoscibile Tilda Swinton (Mason) odiosa serva del potere, Ed Harris volto cinico della dittatura, il coreano Song Kang-ho attore feticcio del regista, un cast dunque eterogeneo se si pensa che c’è anche Jamie Bell di “Le avventure di Tintin”, oltre ad una suggestiva scenografia basata sul fumetto. Joon-ho riesce dopo dieci anni a portare sul grande schermo la famosa graphic novel, con una produzione Usa-Francia-Corea del Sud (quest’ultima stanzia l’importo più alto di tutta la sua storia), grazie al produttore, collega ed amico Park Chan-wook.

Un erede di Stanley Kubrick, Bong Joon-ho è bravo nel movimentare le claustrofobiche scene d’azione in interni, alternandole a momenti grotteschi o di humour noir, con un treno in corsa verso il nulla che assomiglia molto alla nostra società di oggi.

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