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PISTOIA. Pubblichiamo l’opinione di un nostro lettore sulla tecnologia imperante.
Ormai la digitalizzazione sta rendendo tutti i nostri sguardi chini su dei piccoli diaframmi che anestetizzano l’attenzione verso la realtà, rendendo sempre più difficile uno scambio umano in carne e ossa.
Basta uscire per strada, vedere tanti che camminano, specie i giovani, con in mano i mobili dell’ultima marca parlare ad un invisibile lontano o peggio muovere i diti come ossessi.
Ciò che è preoccupante è la progressiva rarefazione degli incontri, a parte le virtuose iniziative dei social street per darsi appuntamento appunto in strada e conoscersi.
Non è per passatismo reazionario che bisogna notare le conseguenze di una tecnologia che rischia di chiudere l’uomo nel suo guscio, ma la lucida e obbiettiva situazione di una solitudine che si legge sui volti dei giovani e mono giovani che non stanno più insieme.
Questa appendice elettronica, questo guinzaglio che suona nei posti e momenti più impensati se da una parte ha portato una facilitazione nei contatti appunto mobili, cioè portarsi le proprie relazioni sociali in tasca dentro un gingillo che suona in momenti più impensati, dall’altra rende sempre di più anonimi e indifferenti alla realtà circostante.
Essere sorvegliati e contenti in modo “orwelliano” ormai è un modo d’essere contemporaneo, in cui la privacy è molto opinabile.
La paura che questi telefonini siano come la lotteria per i “prolet” dove si distragga il pensiero per non pensare criticamente al disagio di oggi è un rischio molto grosso.
Massimiliano Filippelli
Egr sig. Filippelli,
leggo quotidianamente Linee Future, e non ricordavo di avere mai visto un Suo scritto (può benissimo darsi che sia la mia memoria che perde qualche colpo, naturalmente): Bene! Se questo per Lei è stato l’esordio, migliore e più incisivo non poteva essere. Concordo in pieno su tutto. Anch’io (che tra l’altro sono uno dei tre italiani a non possedere ancora il cellulare e nonostante ciò sto benissimo ed ho una vita a volte anche troppo piena), osservo sempre attentamente ed in modo ogni giorno più insofferente, la miriade di psicodipendenti maniacali compulsivi che girano smanettando nevroticamente su quello stupido feticcio (che peraltro è utilissimo quando usato in maniera intelligente, beninteso) per ritrovarsi, spesso, comunque soli, vuoti dentro e senza idee e programmi.
Per non parlare della maleducazione che spesso è collegata a quest’uso quando siamo in un pubblico consesso e più di uno si fa comunque suonare impunemente tale strumento o lo usa come macchina fotografica per fotografare non si sa bene chi o cosa, con la conseguenza di causare in ogni caso disturbo e fastidio per la luce che l’ oggetto emana o per altri motivi ancora.
Piero Giovannelli
Buona sera a tutti e due!…intervengo solo ora causa tempo tiranno….la questione è molto interessante. Io però vorrei proporvi un punto di vista “ribaltato”. Mi spiego: ho la vaga sensazione, che poi tanto vaga non è, che il mezzo tecnico, vedi smartphone o tablet o pc o tutto quanto messo insieme, non sia la causa di quanto voi descrivete, ma il pretesto. Il pretesto che tutti aspettavano con ansia da decenni, per fuggire. Da cosa? Da se stessi. Ovvero: in definitiva, l’uomo cerca da sempre qualsiasi scusa per non stare solo con se stesso, a riflettere su ciò che egli è davvero, su ciò che è stata la sua vita fino a quel momento. Questo per non dover fare i conti, quasi sempre con un fallimento più morale che materiale. Viceversa, incolpare una tecnologia, per la povera condizione morale in cui versiamo attualmente significherebbe ammettere che, a distanza di due secoli dall’illuminismo l’uomo non ha e non esercita il libero arbitrio, che volendo, tra le altre cose gli consente di utilizzare PC e cellulari quando servono e tenerli spenti per il resto del tempo.
Buona notte!