SPEDALETTO-MOSCA-NEW YORK: IL TRIANGOLO DI GIACOMO RAVAGLI

Giacomo Ravagli
Giacomo Ravagli

PISTOIA. Appena gli è possibile, torna nella sua Spedaletto, dove ha una piccola casetta, nella quale viene a disintossicarsi dai ritmi frenetici delle metropoli che frequenta sistematicamente. E a rigenerarsi.

Succede di rado, vero, ma proprio per questo, le parentesi dalla vita professionale che lo hanno portato in giro per l’Europa e il Mondo, assumono, con il trascorrere del tempo, un significato sempre maggiore.

Ieri sera, Giacomo Ravagli, scultore e designer, lo abbiamo incontrato lì, dal suo amico d’infanzia Emanuele, che gestisce da anni quel posto incantato che si chiama ristorante Lago Lo Specchio. È a cena con la sua compagna di Mosca, con la quale convive da qualche anno, proprio nella ex capitale sovietica e qualche amico russo. Al tavolo c’è anche una delle due sorelle. La sua faccia non ci è nuova. Anche lui ha la stessa impressione, ma supportata da una memoria visiva migliore.

“Ci siamo conosciuti una ventina d’anni fa, ai tempi del liceo scientifico, ai tempi del mio liceo – rompe il ghiaccio Giacomo Ravagli –: ero uno dei promotori dell’occupazione. Venisti ad intervistarci: scrivevi sul Tirreno”.

La propensione artistica è già nelle corde, perché ottenuto il diploma, Giacomo Ravagli si iscrive anche all’Università; non una qualsiasi, ma al Dams, ateneo fiorentino.

“Che non ho portato a termine – aggiunge – dando un grande dispiacere a mia madre. Ma avevo già iniziato a lavorare e ritenni opportuno non perdere altro tempo in teoria”.

Infatti se ne va negli Stati Uniti, a New York.

“Tre anni vissuti tra mille privazioni: ma n’è valsa la pena. Ho avuto i miei primi contatti importanti, tra collezionisti, galleristi e soprattutto artisti. Sono partito da lì e nonostante la strada sia ancora particolarmente lunga e piena di insidie, posso dire di averne già fatto un buon pezzo”.

Ma cosa fa Giacomo Ravagli?

“Pezzi da collezione, sculture, arredamento. Lavoro con il marmo, con i metalli, con il bronzo, seguo fusioni, che sono quelle che precedono lavorazioni interminabili dalle quali nascono pezzi di forme pregiate, uniche. Frequento un modo vorticoso e anche se a diverse latitudini, da New York a Mosca, da Milano a Los Angeles, dall’India a Parigi, la frenesia, nei salotti di queste metropoli, si somiglia maledettamente. Io, però, vengo da qui, da Spedaletto, da queste zone incantate e protette, dove le giornate durano davvero ventiquattrore e dove la vita scorre verso un’altra foce, dove un giorno verrò a fermarmi. Per cercare di capire se abbia o meno fatto la cosa giusta”.

In uno degli angoli del ristornate del suo amico Emanuele, senza trionfalismi, c’è una delle sue creazioni: non si capisce se sia una lampada, un porta oggetti o un semplice suppellettile.

Un genio in giro per il mondo. O uno che riesce a vendere il fumo come se fosse arrosto prelibato.

“No, né l’uno, né l’altro. Sono un operaio che crede nelle sue passioni e che non si stanca mai di cercarne nuove da coltivare. Espongo al Nilufar, a Milano, una delle gallerie più importanti d’Italia e ad ottobre allestiremo una mostra a Parigi. Poi, bisognerà tornare negli States, senza dimenticare di fare tappa al quartier generale della mia vita, a Mosca, dalla mia compagna. Non ho voglia di capire il senso rotatorio della giostra sulla quale ho deciso di montare: fino a quando mi diverto, resto sopra. Se un giorno le cose che faccio non dovessero più piacermi, proverò a fermarla; di certo, scenderò”.

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