L’uso di lavarsi le mani non è venuto di moda con la pandemìa da Covid, era già iniziato con il famoso Pilato del «volete Gesù o Barabba» ed è continuato e resiste fino ai giorni nostri. Alcuni cronisti della giudiziaria sembra che ce lo abbiano ricordato ancora una volta: ma allora che informazione è un’informazione che ha paura di informare? E qual è la funzione dell’ordine dei giornalisti, quella di assolvere solo alcuni a prescindere?
Dedicato con affetto a tutti i politicamente corretti della Terra
NON DIRE FALSA TESTIMONIANZA
SENNÒ TI VIENE IL MAL DI PANZA!
IERI, 27 marzo, su due quotidiani cartacei di Pistoia – La Nazione e Il Tirreno – sono usciti articoli che hanno tentato di raccontare, rabberciandolo, ciò che è successo a me, Edoardo Bianchini, ex-giornalista professionista schifatosi dell’ordine dei giornalisti della Toscana per il suo comportamento indicativo del rapporto che passa, nella terra dei rossi, fra stampa e potere.
Gli articoli sono due esempi di pessimo giornalismo che non onorano la professione e disorientano il lettore; che non fanno giustizia dell’abuso (com’è ormai definito dalla decisione del tribunale del riesame) che ho dovuto subire da parte di un Pm e di un Gip i quali, ascoltando soltanto le richieste di avvocati – che mi sembrano, oltre che scadenti, perfino strulli –, hanno avvalorato una sequela di stupidità insostenibili simile in tutto e per tutto simile alla montagna di concime che la sedicente persona offesa (secondo Pm e Gip) ha, in questi giorni, ammassato nei propri terreni, ammorbando l’aere di odor di sterco.
La migliore rappresentazione grafica di tutta questa sconcertante vicenda di mala giustizia non può essere che quella che vedete nei campi di Lecceto di Quarrata.
Vi oscuro gli articoli perché li sto attualmente studiando, parola per parola, nei minimi particolari, con la lente d’ingrandimento e gli strumenti del filologo di professione: per decidere quelli che saranno gli sviluppi e i provvedimenti necessari e conseguenti agli eventi cuciti sulla mia pelle e contro di me. Mi limito solo a un primo, superficiale commento, qui di séguito riassunto.
LA NAZIONE
Il quotidiano fiorentino, che dalla luce di Ricasoli è piombato nel buio del pensiereo unico, fa un pessimo servizio al lettore parlando di un certo E.B., 73 anni, giornalista pistoiese di una testata on line etc.
Per chi non lo sapesse, E.B. è Edoardo Bianchini; e la testata on line, di cui si parla, è Linea Libera, il cui nome era perfino indicato sul primo comunicato stampa dei carabinieri.
Ma evidentemente La Nazione ha il sacro terrore a “pronunciare il nome di dio invano” e della sua Bibbia: e non perché io possa essere dio – che a mio parere non esiste o non permetterebbe certi giochi ad animali con due gambe che, o sono stupidi o sono colpevoli in malafede… – ma solo perché ha timore di fare pubblicità all’unico, modesto ma valido, esempio di giornalismo di questa provincia dominata dall’arroganza del silenzio del potere che la ha costretta a diventare una sorta di Auschwitz-Birkenau. Anche, ovviamente, con la connivenza dei silenzi della stampa e dei giornalisti in quasi otto decenni di asservita istituzionale obbedienza. E qui mi taccio.
Se qualcuno ha qualcosa da dire, si faccia avanti e avrà le sue risposte. Tutti i cronisti di Pistoia hanno il mio cellulare; nessuno di loro ha avvertito il bisogno di farmi una domanda, una sola, dopo la schizofrenica accusa montata dal signor Claudio Curreli e sorretta, bontà sua, dalla signora Patrizia Martucci che, pur avvisata dell’insuffragabilità delle motivazioni in punto di diritto, prima ha confermato la richiesta del Pm e successivamente, invitata a correggersi nella decisione evidentemente errata (la decisione del riesame non lascia dubbi), ha sostenuto il punto senza rispondere alle osservazioni che, accolte dal riesame, erano vere, apprezzabili e ora definitive.
Complimenti alla Nazione per come disinforma o malinforma i suoi ormai più pochi lettori. Non vi dico perché il pezzo della Nazione non ha firma, perché non voglio dirvelo. Sopravvivrete ugualmente, visto che i pistoiesi sono abituati a sopravvivere fino dal medioevo facendo finta di nulla.
IL TIRRENO
Sul quotidiano livornese è bene precisare in premessa che io mi guadagnai sul campo il titolo di redattore ordinario professionista, non per giustizia, ma perché il dottor Fabrizio Amato, al tempo pretore del lavoro, riconobbe i miei quattro anni di responsabile della pagina della Piana, Quarrata-Montale-Agliana, grazie a quattro testimonianze pienamente concordi (Giuliano Fontani, capocronaca di Pistoia; Alessandro Gasperini, vicecapocronaca; Roberto Rapezzi, corrispondente del Tirreno da Quarrata; e Donatella Guastatori, capotastierista e splendente professionista nell’eseguire alla perfezione il suo compito).
Allo stesso tempo il dottor Amato annientò, con una bella rasoiata, la testimonianza di Alberto Vivarelli, che più o meno aveva dichiarato che, al Tirreno, lui non mi aveva quasi mai visto.
E se ora il direttore di ReportPistoia vuole querelarmi come molti altri della sua stessa incrollabile fede politica, preti compresi (come don Baronti), s’avanzi pure – come dicono a Siena –, ma tenga presente che ho ancora tutti i documenti del processo del lavoro che si concluse nel 1995. E che sono documenti ufficiali e autentici: non come le risposte – a favore del ragionier non-dottor Romolo Perrozzi e di altri residenti di Lecceto – dàtemi da quattro dirigenti-funzionari inaffidabili del Comune di Quarrata che, a mio modesto parere, la procura avrebbe dovuto inquisire prima di far tanta polvere contro di me.
Sul Tirreno – riprendo – il pezzullotto, firmato da Massimo Donati, è ancor peggiore, sotto il profilo della corretta informazione. Il Donati, che diventò giornalista ai miei tempi sedendo al desk numero 8, proprio dinanzi a me, che ero fisso alla numero 9, ha voluto far vedere di essere molto più bravo di tutti gli altri, e vi spiego come.
Tralasciando il fatto che, pur avendo lavorato gomito a gomito con me per quattro anni, non si è degnato nemmeno di darmi un colpo di telefono (alla faccia della collaborazione tra colleghi prevista dalla legge dis-ordinistica, su cui i censori fiorentini affibbiano censure ai non-Pd); Massimo iòiòi, com’era chiamato nella sua verde età, avendo capito che non avrebbe ottenuto il decreto del riesame né da me né dal mio avvocato, la signora Pamela Bonaiuti, ha comunque scritto una bella toccata e fuga barocca per organo a canne e tromboni, dalla quale si evince che il prode ha avuto di contrabbando il testo del documento.
Certo non si ha la firma di chi glielo abbia passato: ma è colpevole pensare che sia stata la solita “manina del cavolo” che non cambia solo i Dpcm a Roma, ma che lavora – indisturbata – anche nella inaffidabile (art. 21 Cost.) procura della repubblica di Pistoia?
E che la procura e i Pm e la polizia giudiziaria e quant’altro non erano affidabili, lo aveva già detto e mostrato chiaramente il dottor Coletta quando il 10 dicembre aveva avvertito tutti, nessuno escluso, che dovevano essere rigorosamente fedeli a rigidi criteri di riservatezza, poco dopo ancora disattesi – presumibilmente da Pm e Gip, salvo se altri –, con la notizia dei miei arresti domiciliari; ma in séguito ancora con gli arresti della commercialista di Agliana e la storia dell’ingegner Pollerone del Comune di Serravalle.
In tutta questa raccapricciante e stolta vicenda non sono stati capiti – né fatti capire ai lettori – tre elementi che, al contrario, solo Mauro Banchini ha sempre evidenziato nei suoi unici interventi a sostegno non di me, ma dell’informazione corretta e quindi anche di me:
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il ragionier non-dottor Romolo Perrozzi (coi suoi legali e subito dopo con il signor Claudio Curreli) non ha capito che il bersaglio delle mie frecce non era lui, ma l’anomalia amministrativa dilagante e continuata nel Comune di Quarrata e fra i suoi tecnici produttori di false dichiarazioni (e che provino a querelarmi)
- il Pm ha avuto troppa fretta (anzi, direi solo fretta) nel formalizzare una baracca di letame contro di me senza avere esperito, a quanto pare dai risultati, neppure un’ombra di indagine sui documenti che io, continuamente (e non solo a volte come scrive il Donati e sostiene l’accusa) ho spedito al dottor Coletta al quale, secondo il mio modesto punto di vista (art. 21 Cost.) rimprovero di non avermi mai voluto ascoltare pur essendo egli stato continuamente invitato a farlo
- se lo stalking giornalistico non esiste come reato, sotto quale luce dovranno essere lette l’azione del ragionier non-dottor Romolo Perrozzi e del signor Claudio Curreli?
Non ve lo avevo, forse, detto a chiare lettere che un giorno vi sareste dovuti ricordare, tutti, di Enzo Tortora? Ora è arrivato il momento.
Edoardo Bianchini
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