SUCCEDE SOLO AL PORRETTA SOUL FESTIVAL

Rick Hutton e la fanfara dei Carabinieri
Rick Hutton e la fanfara dei Carabinieri

PORRETTA. Non ci stancheremo mai di scriverlo, perché non possiamo stancarci, a scriverlo, che Porretta Soul Festival è un posto incantato. Lì, nel parco Rufus Thomas, così ribattezzato da parco Roma da un’amministrazione comunale che non poteva non debitamente considerare l’evento come straordinario per quel piccolo Comune dell’Appennino tosco-emiliano, incastonato da una foresta di verde, il fiume Reno, un impianto termale che meriterebbe riscossa e quella musica, il Soul, che da 27 anni, grazie a Graziano Uliani e chi lo ha assecondato in questo meraviglioso progetto, trasforma quel borgo meraviglioso in un giardino musicale.

E ieri sera, giovedì 23 luglio, con il leggendario cantautore anarchico Francesco Guccini (nato a Pavana, un chilometro prima di Porretta, venendo da Pistoia, lungo la SS 64) a cena, a due passi dal parco, con Marco Landini, quel giovanotto della Fiom che aspira a diventare il leader della sinistra (ri)trovata, si è aperta la 28esima edizione.

Con una intro a dir poco imprevedibile: quella affidata al soul, swingato, della Fanfara del III Reggimento Carabinieri Lombardia, una macroband composta da un nugolo di musicisti con le strisce rosse ai lati dei pantaloni che si sono cimentati in parecchie rivisitazioni classiche, alcune volte accompagnate dall’interpretazione vocale di Rick Hutton, altro insostituibile indeformabile immarcescibile pezzo di questa manifestazione. L’apice dell’incredulità si è toccato al termine dell’esibizione, quando la Fanfara dei Carabinieri si è congedata dal pubblico con Birdland, versione strumentale, Wather Report: se ci fosse stato almeno uno dei quattro dei Manhattan Transfer, chissà cosa sarebbero potuto succedere.

Le tribunette in pietra disposte a semicerchio che abbracciano, ad anfiteatro universitario, il palco del Festival, erano già piene in ogni ordine di posti già nelle prime ore della sera. Confuso tra la folla anche il manager di questa piccola, grande, idea culturale: Graziano Uliani, intento a rendere sorrisi e pacche a chiunque, passandogli accanto, abbia voluto ringraziarlo per aver messo un’altra volta in piedi un evento che ha del sensazionale. In tutti i sensi.

Osaka Monaurail
Osaka Monaurail

Certo, se dovessero arrivare Carlos Santana o Sting, facendo un esempio che sa di piazza del Duomo proprio in questi giorni, la folla sarebbe altra e soprattutto il servizio d’ordine avrebbe parecchio più da fare; i carabinieri, tanto per intenderci, più che suonare sarebbero intenzionati a doverle suonare a qualcuno la cui endorfina non rientrasse nei gangli delle semplici emotività. Ma Porretta Soul Festival è soprattutto questo e lo è sempre stato, anche quando Rufolone, così chiamavano Rufus Thomas i porrettani sprovvisti di inglese, passeggiava, prima e dopo le esibizioni, nel centro del paese appenninico; succedeva così puntualmente, successe così tutte e sei le volte che, prima di morire, il grande soulman ebbe l’onore di partecipare.

Dopo i musicisti della Benemerita, che sono a loro volta subentrati a Dear James Brown, sul palco è arrivato Oaska Monaurail e la sua band, tutta del Sol Levante, ovviamente. Ancora soul, ancora swing, parecchia world music, con venature jazz che hanno messo in luce la poderosa e poliedrica preparazione strumentale dell’artista giapponese. Il finale, giocando sulla sensibilizzazione che al Festival non difetta certo, spazio e riflettori su Amnesy International, che ha di fatto calato il sipario sul primo dei quattro giorni della manifestazione. Che ha già ripreso ad intonare le proprie note stamattina, poco dopo le 11, sempre nel parco, con le varie formazioni italiane provenienti da ogni angolo della penisola e che si appresta ad allestire la seconda serata, impreziosita da un altro step di artisti che di Porretta non ne sono mai sazi.

Print Friendly, PDF & Email