PRATO. Ci vuol coraggio. Bisogna ammetterlo. Ma alla fine, il risultato, non è oltraggioso. Anzi.
Syncronicity, la mostra di Palazzo Pretorio, a Prato, inaugurata il 25 settembre scorso e aperta fino al prossimo 10 gennaio, è veramente un viaggio, in salita, lungo i piani e i mezzanini della meravigliosa struttura della città laniera dove Stefano Pezzato ha volutamente ideato e installato il sacro e il profano, senza però distinguere le opere in esposizione nei due contesti.
Per riuscire a realizzare un onirismo tanto mastodontico, promosso dal Comune di Prato e dall’Assessorato alle politiche culturali, in stretta correlazione con il progetto regionale Toscana 900, Stefano Pezzato ha dovuto chiedere e ottenere prestiti importanti da saloni indigeni e distanti: il Centro contemporaneo Pecci, la collezione Gori di Pieve a Celle a Pistoia, la Galleria continua di Firenze, quella Fumagalli di San Gimignano, alcune milanesi, a Vinci, Lucca e altre roccaforti dell’arte contemporanea, oltre ai patrimoni naturali già conservati nel Palazzo Pretorio, ultima ma non ultima, la vista, romanticamente mozzafiato, offerta dalle vetrate che si affacciano lungo le scalinate e che illuminano le sale e l’animo dei visitatori.
Sette secoli di arte in un sincronismo devastante, la mostra vuole, ma non provocatoriamente, offrire un percorso atemporale senza alcuna plausibile spiegazione se non quella dell’unicità dell’arte, intesa come pura bellezza, sotto il segno del divertimento pasoliniano che vieta, prima di ogni altro scrupolo culturale, l’autocensura.
Dai fratelli Lippi ad Andy Warhol, salendo e scendendo lungo la dorsale della montagna dell’arte, magistralmente rappresentata tanto dalla visione e dalla leggenda della Sacra Cintola della Madonna, quanto dalle mute provocazioni di Marina Abramovic, dalla sequenza dei pittori del 300, 400, 500 e 600 fino alla Fiducia in Dio del 1834 di Lorenzo Bartolini accostati lungo la parete di sculture alla Venera Maria Nudo color seppia, di Michelangelo Pistoletto, conservato nella collezione Palli di Prato.
C’è il Cristo e la Maddalena, del Caracciolo, con le opere di Fontana e Zorio, Spoerri e Miccini, le video installazioni sulle emergenze cosmetiche e poi ancora tutta l’arte classica di quattro secoli di attesa, quelli dal Medio Evo al tardo Rinascimento, fino all’Illuminismo, per poi tornare a planare lungo le distese romantiche ottocentesche e provare a sostenere il contrario con l’arte contemporanea, stufa di allinearsi ai potenti e ai loro cautelari rigori sintattici.
Anche a Pistoia, anni fa, qualcuno osò porre, a proposito di contaminazioni e viaggi senza tempo, ai piedi dei Fregi del Della Robbia quel discutibilissimo tentativo della Luna nel pozzo, un insediamento che è stato solo e soltanto un bizzarro schizofrenico e irreparabile controsenso incapace, perché ignorante, di rappresentare la benché minima continuità. E tra l’altro fisso.