“TERZO SETTORE” O COME TI PRIVATTIZZO IL PUBBLICO

no profit no payPISTOIA. Il modo del lavoro, una volta rappresentato con la falce e il martello, versa in una crisi fra le più gravi che si ricordino dal dopoguerra ad oggi. I dati ufficiali sull’occupazione vengono diramati e poi smentiti, dando l’impressione che i manovratori abbiano perso la bussola. Le imprese sono falcidiate da tasse feroci e da adempimenti burocratici assurdi, tanto che dal 2008 ad oggi, 82 mila aziende hanno chiuso i battenti mandando a casa circa 1 milione di addetti (dati Cerved), tanti imprenditori si sono suicidati. Il petrolio è al minimo da 10 anni, la Bce compra titoli di Stato a man bassa e i deboli segnali di ripresa, se ci sono, vengono calcolati in cifre decimali. Uno schifo, insomma.

In questo scenario economico non certo roseo, il resto è ancora peggio. Il rottamatore Renzi – miglior appellativo non poteva scegliersi –, dopo avere fatto una legge per le banche – se falliscono saranno i correntisti a coprire il buco dei derivati –, una finta legge di abolizione del finanziamento ai partiti, esentandoli (mai successo) dal dichiarare da dove arrivano i dindi – lo poteva fare solo un democristiano vestito di rosso, forse pensando in primis a se stesso: ricordiamo che le imprese devono certificare anche un’unghia – ti sforna una leggina che aiuta il terzo settore, quello dei soggetti privati la cui produzione di beni e servizi ha una valenza pubblica o collettiva. Quello che le male lingue definiscono dell’assistenza pelosa di fatto non sottoposta a controlli.

Nella legislazione italiana il variegato mondo del no profit, non è ancora disciplinato in maniera organica ed è costituito da: cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato e altre tipologie di organizzazioni.

Dati Istat 2011 sul terzo settore
Dati Istat 2011 sul terzo settore

È un settore in espansione, i dati relativi all’ultimo censimento Istat, risalenti al 2011, fotografano 301.191 imprese con 957.124 addetti da non confondere con i volontari che sono 4.758.622 (per le statistiche complete vedi l’Istat qui).

Consigliere pro bono del presidente del consiglio (tutto minuscolo, visto che Renzi non lo ha eletto nessuno) per il no profit è il dott. Vincenzo Manes, presidente di Fondazione Dynamo Camp e del gruppo Intek.

Veniamo alla legge pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 208 dell’8 settembre (data giusta…), varata – ma è solo una coincidenza – con la chiusura per ferie del parlamento (minuscolo, perché ritenuto illegale dalla Corte Costituzionale) il 18 agosto, un periodo in cui notoriamente si compiono i miracoli delle amministrazioni pubbliche (vedi profezia di Felice de Matteis qui).

La nuova normativa su “Disposizioni in materia di agricoltura sociale”, introduce, novità assoluta per l’Italia, un nuovo soggetto: l’impresa agricola sociale.

Dati Istat 2011 terzo settore agricolo
Dati Istat 2011 terzo settore agricolo

Sempre secondo i dati Istat aggiornati al 2011, le organizzazioni no profit che svolgono attività classificata come agricola sono, su tutto il territorio nazionale, solo 244 più che dimezzate rispetto al 2001 in cui erano 500.

Le finalità della Legge n. 141 del 18 agosto 2015, già dal titolo, sono chiare e tendono a promuove l’agricoltura a fini sociali. Un’agricoltura intesa però in maniera molto ampia, che si discosta dal modello tradizionale del banale campo coltivato. Un’agricoltura con confini non ben definiti e labili, in cui si potrà fare di tutto e far rientrare quel tutto come se fosse agricoltura: basterà avere un orticello possibilmente bio per poter contare su esenzioni e agevolazioni.

Per il riconoscimento dello status sociale le aziende agricole private potranno realizzare:

  • l’inserimento socio-lavorativo di lavoratori con disabilità, di persone svantaggiate o di minori in età lavorativa inseriti in progetti di riabilitazione e sostegno sociale
  • prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali mediante l’utilizzazione delle risorse materiali e immateriali dell’agricoltura per promuovere, accompagnare e realizzare azioni volte allo sviluppo di abilità e di capacità, di inclusione sociale e lavorativa, di ricreazione e di servizi utili per la vita quotidiana
  • prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative finalizzate a migliorare le condizioni di salute e le funzioni sociali, emotive e cognitive dei soggetti interessati anche attraverso l’ausilio di animali allevati e la coltivazione delle piante
  • progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare, alla salvaguardia della biodiversità nonché alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso l’organizzazione di fattorie sociali e didattiche riconosciute a livello regionale, quali iniziative di accoglienza e soggiorno di bambini in età prescolare e di persone in difficoltà sociale, fisica e psichica.
Art.2135 del Codice Civile
Art.2135 del Codice Civile

Le imprese agricole o le cooperative, quindi, esercitate da soggetti privati, non saranno più solo orientate alle attività previste e definite dall’art. 2135 del Codice Civile (vedi box a lato) ma potranno essere orientate a interventi nel campo dei servizi sanitari, educativi e di inserimento lavorativo.

Unico prerequisito quello di far precedere l’attività svolta dal prefisso socio, in modo da ammantare il tutto in un’aureola caritatevole svolta per il bene e il benessere collettivo, e far credere che trattasi di attività di volontariato, che ovviamente c’è e ci sarà ed è lodevole per gli intenti, ma viene e verrà utilizzato come manovalanza a costo zero.

Ma in quest’ottica allargata tutto diventa sociale. Forse i negozi e i piccoli artigiani che operano in realtà piccole, spesso disagiate, ultimi presìdi di un territorio abbandonato dallo Stato, non svolgono anche loro, e anche di più, un servizio per la collettività? E allora perché non possono usufruire degli stessi sgravi fiscali e sul poco reddito, anche su quello virtuale generato dagli studi di settore, devono pagare tasse esose? Perché non possono usufruire delle stesse agevolazioni e sono costretti a confrontarsi con impedimenti burocratici di ogni tipo?

noprofitDa una parte del presidente del consiglio del “mai al governo senza il voto del (avati)-popolo”, promette “a babbo morto” il taglio di quelle tasse che poco prima però aveva aumentato – es. l’Imu agricola è stata inventata a marzo di quest’anno –, e dall’altra, per specifici settori a lui cari, non mette tempo in mezzo e regala esenzioni Imu consistenti per i fabbricati di natura strumentale classificati D/10 in cui viene svolta l’attività connessa all’agricoltura anche se agricola non è.

Tutto questo non è nient’altro che la privatizzazione dei servizi chiesta dai tecnocrati-commissari dell’Europa, anche loro eletti da nessuno.

Insomma, il terzo settore soppianterà il primo, cioè lo Stato e il no profit è solo un modo furbo per arrivarci attraverso la privatizzazione dei servizi pubblici, a tasse ovviamente invariate.

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NOTA ISTAT

no-profit9° Censimento generale dell’industria e dei servizi. Rilevazione sulle istituzioni nonprofit

Il Censimento delle istituzioni non profit 2011 rileva le istituzioni non profit e le loro unità locali alla data del 31 dicembre 2011. Le istituzioni non profit sono unità giuridico-economiche dotate o meno di personalità giuridica, di natura privata, che producono beni e servizi destinabili o non destinabili alla vendita e che, in base alle leggi vigenti o a proprie norme statutarie, non hanno facoltà di distribuire, anche indirettamente, profitti o altri guadagni diversi dalla remunerazione del lavoro prestato ai soggetti che l’hanno istituita o ai soci.

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3 thoughts on ““TERZO SETTORE” O COME TI PRIVATTIZZO IL PUBBLICO

  1. Quanto risparmierà Vincenzo Manes “pro bono” con le sue fattorie dell’area della Dynamo…?
    Qualcuno ce la fa a fare un rapido calcolo?

  2. Il terzo settore purtroppo è pieno di gente che non sa niente di quello che sta facendo: viene da piangere se penso che anche qui vige l’assunzione su raccomandazione….
    L’Italia è il paese dell’economia fasulla: grazie ai soliti noti (Prodi, Treu in primis) si è esternalizzato un sacco di roba senza che contemporaneamente scendesse il peso del pubblico sulle casse statali. Un caso unico al mondo.
    Massimo Scalas

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