PISTOIA. È tempo di tirare le somme, e per qualcuno suona a morto.
Quattro anni fa circa si presentò un gruppuscolo di neanche quarantenni intenzionati a scalare il proprio partito a suon di slogan rumorosi come “giovani al governo” o “rottamazione”.
Il piano era sciatto e privo di idee concrete, progetti per il futuro e programmi da proporre: la sola demagogia gli avrebbe permesso di prendere il potere.
L’Italia navigava nelle acque della disoccupazione rampante e dell’indecisionismo cronico, dopo quelle elezioni del febbraio 2013 dalle quali non uscì una vera maggioranza di governo, coi conseguenti famosi quaranta giorni di corteggiamento di Bersani verso Grillo e, preso atto del due di picche, col conseguente inutile governo Letta.
Scissioni nel centrodestra. Berlusconi fatto decadere da senatore con un processo a tappe forzate dentro e fuori il Parlamento. L’antiberlusconismo stava trionfando lasciando il posto ad un altro fenomeno che alcuni avventati commentatori definirono simile: il renzismo, ovvero la costruzione di un partito attorno all’uomo solo al comando.
Cazzate. Berlusconi fu uomo privato fattosi poi pubblico, persona di unanimismi e di consensi, interprete del miglior sentimento della coscienza maggioritaria di questo paese che è di destra e liberale. Renzi si è posto fin dall’inizio come arruffa popolo, imbonitore, giovane arrogante e demagogo voglioso di sottrarre il partito alle alte cariche soffiando sul fuoco della disperazione. Era una delle due facce di quella medaglia composta, sull’altro lato, da Beppe Grillo.
È passato poco più di un anno dalla disfatta del 4 dicembre 2016, data del referendum sulla riforma costituzionale proposta da Renzi e dalla Boschi. Certamente è stato un anno tempestoso, denso di significato e impossibile da riassumere in un singolo articolo.
È evidente però che la svolta promessa dal Renzi in caso di sconfitta, ovvero le sue dimissioni definitive, non è mai avvenuta. Anzi, la realtà renziana è proseguita indisturbata con altri nomi decisi e collocati dal Renzi stesso.
La svolta, oggi, un anno dopo, è rappresentata dalle parole di Ferruccio De Bortoli nel suo libro “Poteri forti” riguardanti certe richieste avanzate dalla Boschi a Ghizzoni, ex amministratore delegato di Unicredit, sulla possibilità di intervento per salvare Banca Etruria, che aveva come vicepresidente Pier Luigi Boschi, padre dell’allora ministra. Ascoltato dalla Commissione d’inchiesta sui problemi bancari, Ghizzoni ha confermato quanto riportato da De Bortoli.
Mentivano e hanno mentito per mesi e mesi, il Renzi e la Boschi, ma il problema non è questo: chiunque
ne sia avvezzo, sa che la politica è l’arte del raccontare bugie così ben confezionate da farle passare per verità inoppugnabili. Il punto è la menzogna che hanno raccontato su sé stessi, su questa nuova era della politica italiana, sull’onda nuova e giovane che avanza.
Il punto è doppiopesismo utilizzato da costoro, i quali hanno chiesto le dimissioni di chiunque (vedi Cancellieri), hanno fatto dimettere chiunque (vedi Lupi e Guidi) ma hanno salvato, chissà come mai, Maria Elena, osando definirsi garantisti, sputandoci sopra, gettando in pasto al popolo affamato le carcasse dei sacrificabili, e pontificando ancora ergendosi a paladini dell’onestà in politica.
Il punto, in definitiva, è la pietra angolare su cui si è poggiato il renzismo, crollato poi come un castello di sabbia: questa nuova dimensione della politica offertaci da degli imbonitori e risultata, alla fine dei conti, ben peggio di quella precedente.
E non perché le personalità politiche pre-Renzi facessero “skifo”, questo lo lasciamo dire a Grillo. Piuttosto perché hanno permesso che un boy-scout giocasse a fare il capo col culo nostro.
[Lorenzo Zuppini]