«THE IMITATION GAME», IL NAZISMO SCONFITTO DA UN OMOSESSUALE

Imitation Game, ThePISTOIA. La guerra è sempre un pretesto. In questo caso, cinematografico, The imitation game, la guerra, è la seconda guerra mondiale, ma lungo le due ore di proiezione (cinema Globo, Pistoia) non si assiste ai soliti scenari bellici, costruiti con la solita maestria dalla macchina mediatica e scenografica statunitense.

Si racconta la vita, interrotta a 41 anni con un suicidio, di Alan Turing, matematico omosessuale grazie al quale, con il suo ridottissimo staff di polacchi scampati ai campi di concentramento, le forze alleate, in virtù della sua macchina, la calcolatrice bomba, riuscirono a decodificare Enigma, il codice di guerra nazista e a dare, al conflitto, una fine anticipata di due anni, ventiquattro mesi nei quali circa 14 milioni riuscirono a scampare la morte.

Ma Morten Tyldum, il regista, l’accento della pellicola non ha certo voluto e dovuto metterlo sul patriottismo britannico, né sulla grande coalizione antigermanica. È la storia, meravigliosa e tragica, di questo genio omosessuale, da molti individuato come il precursore del computer, che decide di mettere a disposizione dell’esercito e dunque della guerra contro il nazismo le sue incredibili conoscenze, emarginando nella propria esistenza la sua sfera sentimentale e erotica.

Alan Turing è Benedict Cumberbatch, preferito all’ultimo momento al camaleontico Leonardo Di Caprio e tutta la trama ruota attorno al suo maniacale desiderio di dare forma e dunque voce alla sua invenzione, sullo sfondo di un Paese, la Gran Bretagna, che perseguita gli omosessuali con condanne spesso risolte con le castrazioni chimiche, unica via per scampare alla carcerazione.

L’amore platonico con Joan Clarke (una meravigliosa Keira Knightley), unica donna dello staff ingegneristico, regala alla pellicola momenti di intensa e profonda poesia, senza abbandonare e abbandonarsi mai ad inevitabili e pericolose vie di fuga, ma affidando alla corsa contro il tempo di questo piccolissimo crocchio di matematici l’unico pathos cinematografico.

Solo il commovente epilogo renderà a tutto il film la voce e l’eco dell’urlo straziante del protagonista, confermando come la guerra, anche questa, è e fu un grande pretesto.

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