LUCCA. Giove pluvio non guarda in faccia nessuno, dicono, ma Renzo Cresti sì, perché la sua graditissima idea, Festival internazionale di musiche jazz, gode, da sabato scorso (e così tutti ci auguriamo che duri almeno fino a sabato prossimo) dei migliori uffici da parte delle bizzarrie atmosferiche.
Su piazza Anfiteatro infatti le stelle continuano ad illuminare l’atmosfera, permettendo così ai musicisti che si trovano di sotto di poter, a loro volta, illuminare il pubblico che siede loro davanti. E anche ieri sera, mercoledì 10 giugno, nella serata di mezzo di questa meravigliosa settimana lucchese, meteo e strumentisti, i Super Quartet, che in realtà era un super quintet, hanno encomiabilmente svolto i loro rispettivi lavori, assicurando delizie agli spettatori, tutti non paganti.
Ma la pioggia, ieri sera, sarebbe stata oltremodo fuori da ogni ragionevole accoglienza, visto e considerato che tra le altre cose, nelle circa due ore di musica, Alessandro Fabbri alla batteria, Nico Gori al sassofono, Ruben Chaviano al violino, Paolo Ghetti al contrabbasso e la chitarra non iscritta nel registro dei partecipanti, Luca Gelli, si sono anche meravigliosamente cimentati nel riproporre due brani di uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, Frank Zappa.
Se ne è andato 23 anni fa, l’inimitabile e ineguagliato inventore, ma nessuno si è ancora potuto permettere il lusso di non fare i conti con la sua indecifrabile creatività, tanto che non si è ancora trovato un musicista, nel pianeta, capace di ereditarne, con la stessa naturale magnificenza, il bagaglio culturale e strumentale.
Non a caso, ieri sera, il quartetto-quintetto ha deciso di rispolverarne due brani operistici, visto e considerato che con il blues, il rock, il jazz, la fusion, la world music, ma anche il teatro, e perché no, il cabaret, tutte le emulazioni effettuate da santi, navigatori e giocolieri in questi venti anni sono apparse, quando più, quando meno, inadeguate.
Il tatto, il riguardo e la sapienza, ieri, invece, sono stati determinanti e Frank Zappa si sarebbe onorato di cotanta onorata rivisitazione se avesse potuto assistere all’interpretazione delle sue due creazioni. Un assortimento rispettosissimo, quello del falso quartetto, che non ha bisogno di alcuna presentazione, visti i loro singoli rispettiva curricula: dal violino cubano di Chaviano al sax fiorentino di Gori infatti, ieri sera, sul palco di piazza Anfiteatro, c’è stata una nobile variegata indistinta rassegna strumentale, che ha spaziato dalla cultura gitana all’improvvisazione tanta cara a Stefano Bollani, del cui gruppo, Nico Gori, fa ormai parte in pianta stabile da oltre due lustri.
Il resto è quello che vi abbiamo già raccontato negli appunti offerti nelle recensioni degli spettacoli precedenti, con una città, Lucca, che sembra aver ospitato, da sempre, manifestazioni come quella della quale vi stiamo parlando. Una città bella, matura, ricettiva, organica, silenziosa, armoniosa, frizzante con decoro, maestosa con discrezione. Pulita.
Qualche pistoiese addetto alla movida farebbe meglio a farci un salto, una di queste sere, a Lucca, parcheggiando l’auto al di qua di una delle cinque porte che proteggono le mura per poi inabissarsi lungo via Fillungo e constatare, con i suoi occhi e le proprie orecchie, quanto poco ci voglia per essere, civilmente, à la page.