PISTOIA. Per caso. Abbiamo incontrato una persona felice, soddisfatta del proprio lavoro e lieta perché non rischia più di perderlo.
È un operaio dell’Hitachi Rail di Pistoia: non diremo il suo nome, ma lui sa che avremmo scritto quello che ci ha detto e ci piacerebbe che leggesse e si riconoscesse.
Questo signore indossa la T-shirt nera con il logo Hitachi sul petto; stiamo tutti aspettando, in fila in un ufficio pubblico e le cose vanno per le lunghe, così gli chiediamo: «Come va ora in Breda, cioè in Hitachi?».
E lui: “Molto bene. Potrebbe andare anche meglio perché i tempi (assegnati per le varie lavorazioni) sono ancora troppo ampi, potrebbero essere ottimizzati, ma va bene. È andata di lusso, se non era per Hitachi si perdeva tutto…”.
Ci disponiamo ad ascoltare mentre lui inizia a raccontare: “I problemi ci sono stati anche se meno di quel che si dice in giro. È che noi a Pistoia facciamo il lavoro come si deve, la vite o la riparella, il dado… giusti al posto giusto; noi si cerca e si usa quello giusto. A Napoli? C’hanno un fusto (di quelli da olio) pieno di tutto quello che gli è avanzato e mettono quel che appena appena gli ci sta…”.
E noi “Ma Hitachi ha comprato anche Napoli…”. Ed ecco che lui si offre di spiegare meglio la situazione: “Sì, infatti cercheranno di liberarsene… Vi racconto tutta la storia se volete – aggiunge –. Tempo fa l’azienda mi ha mandato a Napoli per tre giorni per istruire gli operai a svolgere una particolare lavorazione, quella che io faccio comunemente a Pistoia, e per la quale servono speciali attrezzature che erano state inviate nei giorni precedenti all’Hitachi di Napoli.
“Arrivo alla stazione – si comincia subito alla grande –, chiamo un taxi, mi porta all’Ansaldo dopo un lungo tragitto complicato, alla fine mi chiede 90 euro. Mi guardo intorno e vedo che la stazione è lì, a poche decine di metri, a vista… Chiamo il vigile urbano e alla fine pago 10 euro…”. Questa è l’Italia formato Campania.
Aldilà del folklore partenopeo, l’operaio ex Breda si reca in fabbrica; spiega qual è il motivo della sua presenza lì e subito lo fanno accomodare in una saletta d’attesa… dove lo lasciano fino a mezzogiorno. A quel punto uno si affaccia e dice. “Guaglió, adesso non possiamo fare niente, adesso andiamo a pranzo…”».
In questo stesso modo per due giorni, tra attese, mancanza di organizzazione e mai nessuno che sia in grado di preparare le macchine e le procedure per ricevere la formazione che il pistoiese era incaricato di fornire: anzi quello che gli era stato indicato come il soggetto a cui rivolgere la sua attenzione – e che lui trova intento a spippolare sul telefono come se fosse al bar –, lo guarda e gli dice: “Guaglió, io ho bisogno di soldi, non di lavoro… La vuoi una quota?”. Lì sono tutti allibratori, scommettono su tutto e tentano la sorte a prescindere dall’ora e dal luogo».
Alla fine del secondo giorno il nostro interlocutore si rifiuta di insistere e avverte Pistoia che intende rientrare perché lì non c’è niente da fare. E non ce la fa più. Fine della storia.
È stato criminale impiegare risorse pubbliche in operazioni a perdere; abbiamo bruciato milioni inutilmente in tutti questi anni mettendo a repentaglio quello che c’è di buono, quel che sappiamo fare, l’indotto e infine la città. Ma mai che ci sia qualcuno a rispondere dei danni, anzi, molti e troppo a lungo hanno impedito che l’azienda fosse venduta a chi aveva la capacità e il motivo per farla funzionare, purché l’indotto ci fosse per loro.
Hitachi cercherà di vendere l’azienda di Napoli, auguri! Manterrà Pistoia, il nostro interlocutore ne è certo, perché ci sono persone capaci, attaccate al loro lavoro e orgogliose di svolgerlo.
Noi glielo auguriamo perché lui e quelli come lui se lo meritano. Ma è chiaro che con i soldi pubblici, i treni non vengono bene.
[Paola Fortunati]