Dall’aneddoto alla storia di ogni giorno in uno strapaese di campagnoli inurbati assoggettato a un potere giudiziario senza limiti di pudore e di legalità. Ma per le cronache sembra che la città di Cino non esista: o che non debba mai essere toccata e raccontata davvero alla «gente comune» per la quale Tommaso Coletta si era impegnato a lavorare
Di preciso chi è che deve proteggere e garantire i cittadini?
«BEL PAESE È CODESTO!» DISSE CALANDRINO
Mentre il non presidente Mattarella si diletta a farsi il suo secondo settennato come niente fosse, fingendo di non sapere che lui è ancora lì solo perché ce lo hanno rimesso a forza, visto che i rappresentanti del popolo, ignoranti di Costituzione e “canosi” fra loro, ma solo per lo stipendio e non per il bene dei cittadini, non riuscivano a cavare un ragno dal buco;
e mentre questo muto “primo magistrato d’Italia”, capo dei magistrati stessi tutti, si trastullava a Sanremo con un Benigni che prende, anche lui, il popolo per il culo, parlando di Costituzione sognata e di articolo 21, lo stesso grazie al quale certi magistrati di Pistoia – Claudio Curreli, Patrizia Martucci, Giuseppe Grieco, Luca Gaspari, non senza l’avallo del Pm capo Tommaso Coletta – mi hanno tenuto agli arresti domiciliari per 104 giorni e, poi, condannato a due anni e 10 mesi di carcere per reati mai commessi:
mentre accadeva tutto questo, ecco che il Giornale ci racconta la storia di un collega di Mattarella e delle sue sfrenate prodezze. E con dovizia di particolari: leggete qua.
Così mi si sono aperte, dinanzi agli occhi, due scene distanti secoli l’una dall’altra. La prima mostra il carattere di uno dei più grandi filosofi dell’antichità; l’altra evidenzia l’invereconda arroganza di un giudice della città di Vanni Fucci, il ladro della cattedrale che faceva le fiche a Dio.
Se la storia di Platone può anche essere un aneddoto, cioè una ricostruzione ideal-fantasiosa del carattere e della figura del grande ateniese, perfin padre più serio di Marx del vero e garantito comunismo della Repubblica; la sua opera massima, non quella della poltrona comoda di Mattarella; vi garantisco, però, che la storia dell’architetto e della donnina incazzata, che fanno nero il giudice che lasciava la macchina in divieto di sosta, è vera come l’oro a 24 carati.
Quando Pilato interroga Gesù e gli chiede se è il re dei giudei, Cristo risponde più o meno: «Sei tu che lo dici, non io». Al contrario il giudice di Pistoia, sin lì sconosciuto, fa partire un metro e mezzo di naso in avanti e si qualifica – direbbe la Gip Patrizia Martucci – come una delle «autorità costituite».
È un modo come un altro per intimidire. Cosa c’entrava, infatti, rispondere io sono un giudice? Essere giudice, oltre a tutti gli altri privilegi che hanno, comporta anche lo ius soli inteso come diritto di poter lasciare la propria auto in divieto di sosta?
Torna in mente Eugenio Scalfari quando, dinanzi a una multa, alzò la voce dicendo: «Lei non sa chi sono io». E anche lui, il glorioso fondatore di Repubblica, pur avendo studiato e fatto palestra con Aristotele (così Crozza quando lo perculava), oggi non è più di qualche pizzico di polvere: come lo saranno pure tutti i benìm zonà (in ebraico figli di buona-donna) che ci stanno rompendo i coglioni con il politicamente corretto, il sesso fluido, i vaccini anti-Covid, il viva l’Europa nazi-francese, il morte a Putin e quant’altro di peggio possa esserci fino al Festival di Sanremo, con la negra politicamente scorretta a 25 mila euro, che guadagna milioni in Turchia grazie all’Italia e poi dice che l’Italia è un paese di razzisti di merda. Gli italiani non possono meritare di più.
Così anche fra i magistrati c’è molta gente che, fragile come una lunaria o “moneta di papa”, acquista forza proprio grazie a quella toga che indossa; e compie anche opre di terrorismo come si legge sull’articolo di il Giornale che vi è stato segnalato.
Infatti – e qui potrebbero aiutarci gli strizzacervelli di turno – per strani meccanismi mentali, non pochi maschi-z della vita reale, si rifanno la cotica dura con la toga, e si trasformano in maschi-α; mentre molte umili donne da casa (e non dico casalinghe, perché sarebbe un’offesa grave per troppe madri!), appena indossata la coperta di Harry Potter che rende invisibili (leggi la toga), tramùtansi in vere e proprie tigri di Mompracen, perfino preistoriche e con i denti a sciabola.
Insomma, grazie alla teoria e tecnica del sesso fluido, si reincarnano in quei potenti maschi-α di cui sentono e soffrono (ovviamente per carenza) l’attribuzione degli agognati “attributi”.
Chi è fragile nel quotidiano, alza la voce quando veste una divisa. Chi non lo è, al contrario, si limita a dire la verità: a costo di essere fatto passare per scemo del villaggio, o di essere perseguitato come è successo a me.
Nei tribunali la violenza psicologica c’è spessissimo e volentierissimo. E, cosa strana, l’esempio di giudici in qualche modo violenti e intimidatori è illuminato da una antichissima tradizione che va dal codice di Hammurabi (la legge fu scritta per evitare il rischio di avere magistrati-interpreti come la nostra bella Corte Costituzionale che forza persino la Costituzione), alla corruzione dei giudici che favorirono Perse, il fratello di Esiodo, nel VII secolo avanti Cristo, su una questione di eredità.
Dei nostri giorni ve ne lascio, qui, qualche striminzito, timido richiamo. Alla maniera di Linea Libera, però, con nomi e cognomi:
1989
Il procuratore capo Giuseppe Manchia alzò la voce e cercò di intimidirmi perché in un documento, inviato alla procura di Firenze, avevo scritto che non mi fidavo della procura della repubblica di Pistoia.
E ne avevo ragioni da vendere, dal momento che pur avendo fatto notare due firme della stessa persona completamente diverse, una su un atto notarile e l’altra su una autenticazione di un avvocato (per giunta marito di una Pm di Prato), da ultimo il Manchia tolse dalla brace l’avvocato, marito di una sua collega, e preferì sacrificare me, il cittadino rompiballe, ma che però aveva ragione.
Questa storia è stata da me pubblicata anche in un libro disponibile alla lettura nelle biblioteche di Pistoia: De domo sua oratio. Ovvero: Una vicenda di mala giustizia nel Tribunale di Pistoia, città a misura d’uomo. 1988-2008, Pistoia, Finisterrae, 2009. Un libro inviato a tutti e da tutti passato sotto silenzio, secondo l’art. unico della legge sulle case di tolleranza: «È vietato parlare dei casini della giustizia in quanto i magistrati sono untouchables».
1996
Il giudice A. Pagliuca è presidente del collegio che decide l’appello sulla mia sentenza del lavoro contro Il Tirreno. Il mio avvocato, che non può trattenersi in aula, mi prega di aspettare la lettura del dispositivo a fine mattinata.
È molto tardi quando Pagliuca rientra in aula: e si vede che gli girano i corbelli. Forse ha fatto tardi a pranzo e gli è scotta la Pasta Voiello, quella che “cattura il mare” (Cannavacciuolo). Così legge il dispositivo mangiandosi le parole in un dialetto campano di difficile comprensione. Finisce e sembra voler fuggire a gambe levate.
Chiedo, umilmente e per favore, di farmi capire meglio cosa sia stato deciso. Ma lui, con grazia di idrofobo risponde: «Non siamo qui per dare spiegazioni alla gente! Ci sono gli avvocati per questo».
Grazie, signor giudice, della sua cortesia! Com’è umano lei! Lui gira i tacchi e se ne va, nell’imbarazzo della stessa giudice, se non erro, Maria Giuliana Civinini, che poi stenderà le motivazioni della sentenza violentando assolutamente lo spirito e la lettera della legge e dei diritti del lavoratore. Ho ancora le prove, per chi le volesse. Aggiungo solo che sarebbe bene che il popolo avesse assistito a una sola udienza-mercato di quel giudice (che dio lo abbia in gloria) per comprendere cosa sia davvero la giustizia italiana.
2021
Camera di consiglio finale sulla questione Comune di Quarrata e soldi dati a Tvl di Luigi Egidio Bardelli. La sostituta Luisa Serranti è stata titolare dell’indagine (ma quale, di grazia?). Se ne sono occupati i carabinieri Panarello, che hanno svolto le pratiche per telefono: indagini serissime, dunque.
Oltretutto hanno anche relazionato su assurdità impressionanti: il segretario del Comune di Quarrata, Luigi Guerrera, non ha nemmeno consegnato loro la mail di risposta del dottor Marco Baldi. Il Guerrera si è personalmente scomodato a trascriverla ai CC, quella mail.
Che valore può avere una trascrizione, se non c’è un originale? Ma si vede che le «autorità costituite» tanto care alla Gip Patrizia Martucci, sono come il soldato Ryan: vanno comunque salvate.
Dopo un batti-ribatti – la sostituta Serranti riceve l’ordine dalla Gip Martucci di fare le indagini non svolte al primo turno. Ma la Serranti non ci pensa neppure. In quattro e quattr’otto giunge alle stesse conclusioni senza altro vedere: copia-incolla come nella questione Lara Turelli. Le pare troppo impegnativo star dietro a queste quisquilie? O sa di poter fare come vuole senza problemi?
Stranamente l’attenzione della Gip si focalizza sulla funzionaria Claudia Cappellini. Eh no, signori! Io non ci sto. Non si può trascinare ai ceppi una responsabile della cultura su una questione di pura ragioneria! Insomma un’ultima ruota del carro che deve lasciarci la coda.
Così mi presento in camera di consiglio. La Gip Martucci mi chiede se io insisto sulle mie tesi, ma così, velocemente: en passant. Rispondo di sì. Ho, però, con me una memoria che spiega più di una cosa che non quadra in una vicenda tuttora – a mio parere – falsata dal potere grigio del Comune di Quarrata.
Ma quando arrivo a dire che intendo depositare la memoria, la Gip Patrizia Martucci si rifiuta di ricevere e prendere in considerazione la memoria. E mi schiaffa sul viso un: «Lei ha già detto che conferma. Per me la cosa è chiusa». Non saranno le stesse parole, ma la sostanza la è.
Risultato: con questa decisione salomonica della Gip Martucci, la dottoressa Claudia Cappellini è salva: e ne sono contento perché non certo io volevo che ci rimettesse la coda in quanto messa in mezzo da un potere a mio avviso ben poco pulito. Ma ancor più è salva la sostituta Luisa Serranti da una serie di equivoci pericolosamente inanellati e in ipotesi di favorire un Comune di Quarrata ottuso e discutibile sotto ogni punto di vista.
Lettori e sudditi pistoiesi del Castello dei destini incrociati, è questa la giustizia? Non dico quella ideale con la G maiuscola, ma quella concepita come servizio pubblico di gente che, in quanto magistrati – quindi terzo potere dello stato democratico e costituzionale di Mattarella e Benigni, di Fedez e Ferragni, di Cristo, dell’asta e della Madonna – si divertono amenamente a perculare senza pudore il popolo da cui ricevono il loro lauto stipendio?
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Parliamoci chiaro. Qui non si tratta di voler destabilizzare lo stato, ma di voler ripristinare una legalità e un rispetto dei cittadini che proprio grazie ai magistrati vengono così spesso e così volentieri messi in pericolo se non direttamente sovvertiti
Giustizia dell’altro mondo…