I giornalisti di Pistoia se ne guardano bene dal riflettere. Legati alla catena del padrone, credono, obbediscono e combattono senza porsi troppi problemi
LA GARANZIA GARANTISCE SOLTANTO
CHI È FIN TROPPO GARANTITO DI PER SÉ
Mi segnalano Il Tirreno di oggi, 8 febbraio, e l’articoletto di Massimo Donati (il prediletto della procura) che ci rifà la storia di Lara Turelli: delle scorrettezze ai limiti dell’ipotesi di abuso di potere, d’ufficio o di ciò che volete (non siamo legulei né giudici, quindi possiamo sbagliare i termini in base alle nostre opinioni, tutelate, come da Benigni profetico di ieri sera a San Remo, e dall’art. 21 della Costituzione); e del fatto che – e questo si capisce bene anche per un anzianotto come me, fatto passare per un comodo «scemo del villaggio» – i due bravi ragazzi, che hanno in mano la vita di varie persone, alcune delle quali sembrano selvaggina da abbattere, mentre altre sembrano appartenere alle specie protette, ce la stanno mettendo tutta onde far sì che la posizione della Turelli torni ad essere riunita e saldata con le sorti dell’agente Claudia Vilucchi.
Insomma, siccome il luogotenente Salvatore Maricchiolo ha organizzato sin da sùbito la quadriglia giudiziaria con da una parte il duo Turelli e Vilucchi, e dall’altra l’ambo Caramelli e Traversi; e siccome, da quel che sembra di capire, la sfilata deve procedere intatta alla stregua delle calviniane storie del Castello dei destini incrociati, ecco che la cosa più plausibile sembra essere la famosa espressione “Il re è morto: viva il re!”, nel senso che tutto deve cambiare (con il nuovo interrogatorio di garanzia) perché tutto resti com’è.
Allora mi domando e domando ai lettori pistoiesi e alla procura che non risponde mai facendo concorrenza, quanto a mutismo, al non-presidente della repubblica Sergio Mattarella (del resto sono tutti magistrati e Sergio è il primo) a cosa serva l’interrogatorio di garanzia.
La prima volta, per garantirsi (da sé), la Turelli è dovuta ricorrere a una obiezione procedurale, accolta immediatamente dal collegio giudicante, perché la coppia De Gaudio-Serranti aveva ritenuto (notate il verbo: ritenere, in altri termini opinare, anche senza fondamento) che nel marzo del 22 la comandante sospesa di Agliana dovesse comunque presentarsi anche se a fascicolo mancava un sacco di materia prima in copia forense. E allora la Turelli ha dovuto avvalersi del diritto di non parlare.
Tradotta in metafora: siamo nella sala operatoria del San Jacopo e il chirurgo sta per operare un paziente. «Mi date la cartella clinica?». «Sì, dottore. Èccola. Ma mancano le ultime analisi degli ultimi giorni…». «Va bene lo stesso, tanto il paziente lo sa di cosa soffre. Iniziamo a operare, su!». Se agisce così un chirurgo, la procura lo passa al tritacarne. Se lo fanno procuratore e sostituti, non succede un bel niente. Ecco la Costituzione più bella del mondo, quella sognata dai padri costituenti e spregiata da chi esercita il potere in nome del popolo italiano.
Questa seconda volta – nonostante la prima sbarrocciata clamorosa dei due sostituti, a volte finanche troppo disinvolti in certe loro frettolose “convinzioni” da superficial ritenere –, dopo 4 ore di dài-picchia-e-mena, De Gaudio e Serranti hanno rilasciato l’interessata con la stessa, immutata richiesta di rinvio a giudizio senza avere mutato una virgola delle loro convinzioni, ma ritenendo (notate il verbo: ritenere, in altri termini opinare, anche senza fondamento) superflui gli ulteriori accertamenti richiesti dall’avvocata Bonaiuti: cioè l’esame forense degli altri computer del Comune che funzionavano in rete al momento dei “fatti criminosi” contestati alle imputate.
I giornalisti di Pistoia se ne guardano bene dal riflettere. Legati alla catena del padrone, credono, obbediscono e combattono senza porsi troppi problemi.
I cani sciolti come me, invece, si chiedono, con inquietudine:
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cosa temono il De Gaudio e la Serranti? Che se si gratta la superficie della rete informatica di Agliana, vengano fuori le protezioni tutte e le prove tangibili della corruzione che ha consentito a questo mellettóso ente di Agrùmia, ai suoi politici, alle sue segretarie comunali, di proteggere e favorire il mai-comandante Andrea Alessandro Nesti, autore – fra l’altro – di esposti anonimi di cui lui stesso, in aula, dové riconoscere la paternità ai tempi di Paolo Canessa? E ne rimase illeso!
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sono stati presi, o no, provvedimenti adeguati – se non altro in sede disciplinare – per la violazione del diritto di difesa da parte dei due giovani magistrati che procedono, talvolta, negando perfino l’evidenza? Ma ne parleremo in séguito…
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quante altre violazioni dei diritti dei comunque presunti innocenti sono state volenterosamente passate sotto silenzio ai due titolari di una inchiesta che nasce sulla presunzione del furto di una chiave; crimine denunciato, con solare evidenza, da un esercito di stalker impudentemente avversi alla Turelli e per motivi futili, disonorevoli e del medesimo volume di un elefante nascosto dietro un filo d’erba?
Non solo non si può avere fiducia dinanzi a strappi di questa portata (violazione del diritto di difesa!) in una magistratura che, costretta a ripetere certi propri passi per proprie colpe, se ne esce confermando tutto “ritenendo che…” dei bravi come loro non possano in alcun modo essere richiamati a un comportamento più consono al dettato dell’articolo 54 della Costituzione. Non solo non si può avere fiducia: ma è da stolti averla. E tale fiducia si può indicare tranquillamente con il termine ben più espressivo di dabbenaggine.
Insomma, cari pistoiesi, «Siamo fritti, disse la tinca ai tinchini»!
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Nei prossimi giorni chiarirò ancor meglio il modus operandi della procura e dei suoi uomini