TUTTO UN ALTRO FESTIVAL

Mumford & Sons
Mumford & Sons

PISTOIA. Non ha senso scendere nel dettaglio strumentale, prima che artistico e culturale, del concerto dei Mumford&Sons, il gruppo londinese che ieri sera, 1° luglio, ha aperto il sipario sulla 36esima edizione del Festival di Pistoia: un gran bel concerto, politicamente più che corretto, suonato con dovizia e piglio e salutato dalla folla di piazza del Duomo, circa ottomila poco più che adolescenti, che hanno accompagnato, cantandole, tutte le loro canzoni.

La chiamiamo così, la manifestazione, e non Festival Blues, non per fare distinguo sonori, non ce n’è alcun bisogno; ma perché quello che è stato – ed è stato meraviglioso –, non è più e, siamo pronti a scommettere, non tornerà.

E non dipende soltanto dalla nostra incipiente maturità – magico eufemismo per non scrivere che stiamo inesorabilmente invecchiando –. In questi 35 anni sono cambiate troppe cose, in giro, comprese le manifestazioni musicali. Il primo Festival, intanto, era il primo Blues’In e in piazza del Duomo, con due palcoscenici addirittura, arrivarono il gotha del Blues, vecchi e giovani: da B.B. King a Pino Daniele, da Dizzy Gillespie a Roberto Ciotti. E non sarà certo un caso che tanto i primi, che i secondi, per vecchiaia o per sfortuna, se ne siano già andati.

Piazza del Duomo ieri 1° luglio
Piazza del Duomo ieri 1° luglio

Durava tre giorni: venerdì, sabato e domenica. La città veniva letteralmente invasa, da tutto e da tutti, soprattutto dall’allegria di un popolo, quello delle notti del blues, contrario al silenzio, all’ordine, alla disciplina, ma soprattutto alle regole. In città, per 72 ore, un mercatino nauseabondo, con il profumo intenso di spezie ed erba (quella da fumare e fumata, tutta) e quello insopportabile di urina e feci, lasciate dal popolo della notte nella città che aveva deciso di ospitarlo senza essersi allertata per saperlo fare.

Girava anche tanta eroina, a Pistoia, in quei tre giorni – ma anche prima e dopo, ad essere onesti –. Si scampò il morto per pure coincidenze fino alla notte tragica del campeggio di Montesecco, quando, per le stesse coincidenze, una giovane carrarina non seppe resistere alla potenza devastante della droga e finì, all’alba, la sua breve corsa.

Quando il Blues’In attraccò al porto di piazza del Duomo, Woodstock era successa da soli dodici anni e noi, all’epoca, non avevamo ancora capito che la rivoluzione non si fa con la musica, ma con le bombe.

Di quello che è successo dopo, inutile parlarne, lo sappiamo tutti: noi che lo abbiamo sofferto e/o goduto e quelli che l’hanno trovato così, il Festival Blues, ma anche il mondo che gli gira intorno. Non è poesia gratuita, ma indispensabili considerazioni storiche, culturali, di costume e morali. Gli ottomila adolescenti che ieri hanno riempito, di sudore e emozione, piazza del Duomo, sono entrati con i biglietti preventivamente acquistati stretti tra le mani, in alto, ben visibili: hanno diligentemente fatto interminabili code, disponendosi parallelamente lungo i corridoi delimitati dalle transenne e una volta in piazza sono corsi veloci, ma felici, per arrivare, il prima possibile, sotto il palco, dove due ore dopo, si sarebbero lasciati inondare dal sound dei M&S.

Piazza del Duomo gremita
Piazza del Duomo gremita

Il mercatino non c’è più; il campeggio non serve; le serate, da tre, sono diventate nove, spalmate su 24 giorni, nove concerti l’uno diverso dall’altro, per molti gusti, quasi per tutti. La linea D’Alessandro & Galli, in parole povere, sembra essere quella che bagna: Summer Festival docet; Festival Blues prendi appunti. E impara.

I cani della narcotici, qualche giovanotto, l’hanno pure insistentemente annusato, fino ad indurre la Finanza ad ispezionare portafogli e borsoni al seguito. Ma in linea di principio, a parte qualche malore più che altro dettato da temperature equatoriali, la serata è scivolata via all’insegna dell’innocuo divertimento, del rispetto e perché no, dell’obbedienza, con il nuovo popolo della notte che dopo aver cantato e saltato al ritmo dei M&S tutta la sera, prima della mezzanotte, a bis eseguito, hanno civilmente ripreso la strada alle automobili parcheggiate per il ritorno a casa.

E visto che anche gli addetti ai lavori del Festival sono finalmente riusciti a capire, dopo trentacinque anni, che il mix, o la consolle, che dir si voglia, dovesse essere incastonato nella parte inferiore degli spalti, lato Tribunale, per non inibire a nessuno la visuale del palco, è forse arrivato il momento che anche noi, inguaribili, teneri, commoventi nostalgici di quegli anni e di quella musica, ce ne si faccia, una volta per tutte, una ragione, riconoscendo che le cose, quelle cose e parecchie altre, sono cambiate. E il Festival Blues? Pure il Festival.

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