PISTOIA. [a.t.] Un racconto commovente, profondo, ma anche destabilizzante quello di Vania. Ci si chiede spesso quale significato nascosto possa avere la nostra esistenza se poi non si dà alcun valore a quella degli altri.
Evidentemente ci sentiamo così “immortali” dinnanzi alla vastità del cosmo, così infallibili ed invincibili, da avere la sciocca presunzione di essere migliori degli altri. E crediamo fortemente, anzi, abbiamo la certezza, che il colore della pelle, il sesso, l’etnia, il ceto sociale, la religione, la provenienza geografica possano, in qualche modo, stupidamente, costituire una diversità tra essere umani che non esiste. E che fa davvero paura.
Scrive Vania sul suo profilo facebook: “Treno delle 14:30, Firenze-Pistoia. Un uomo si sente male alla stazione di Prato Porta al Serraglio. Il capotreno chiede se a bordo c’è un medico. Scendiamo tutti perché siamo una razza curiosa. L’uomo, dai tratti stranieri, sulla cinquantina, è sdraiato sulla panchina tra i binari. Due ragazze giovanissime, quasi sicuramente aspiranti infermiere o medici, e una donna adulta, forse un’infermiera, tengono l’uomo per i polsi e si assicurano che rimanga in vita fino all’arrivo del 118. Siamo tutti incuriositi, chi provando pena chi rabbia per il ritardo che la vita in pericolo di una persona sta causando alla corsa del treno.
Torniamo tutti a bordo e ripartiamo. Mi siedo sperando che quell’uomo ce la faccia. Un signore accanto a me ferma il capotreno, un uomo grasso, grosso e dai lineamenti poco piacevoli. Gli chiede “Era sul treno quel signore?”. Il capotreno risponde. E non so che avrei dato per non ascoltare la risposta: “Abbiamo dovuto fermare il treno perché barcollava verso i binari. Non sarebbe una grande perdita per l’umanità eh, ma la prassi era di fermarsi”.
Io lo guardo. Lo guardo negli occhi. La rabbia e il dolore che quella frase mi ha creato devono essere evidenti, perché lui mi guarda, fa spallucce e se ne va. Il signore che gli ha fatto la domanda mi guarda con aria sconvolta. Io mi volto verso il capotreno perché non riesco a tacere. “Mi scusi ma che frase era quella?”. Non si volta. “Scusi? Si rende conto di quello che ha detto?”. Non si volta. Va via del tutto. L’uomo vicino a me scuote la testa e mi dice “che ci vuole fare, signorina?”.
Niente. Non ci voglio fare niente. La mia prima reazione è stata quella di pensare di scappare via da tutto e da tutti. Voglio andare lontana, isolata dal mondo, morire senza che nessuno possa mai dire una cosa così umiliante e cattiva su di me. E se fosse successo a me? E se anche io fossi stata in un paese straniero dove tutti vorrebbero che me ne tornassi a casa mia? Dove se mi sentissi male, un “omuncolo” qualunque potrebbe dire che la mia scomparsa non sarebbe una perdita importante. E i figli? La compagna o il compagno? Gli amici, i parenti di quell’uomo? Avrebbe il coraggio il capotreno di dirlo di fronte a loro?
Voglio andarmene.
Ma poi rimango qui. E penso a quelle due ragazze. A quella donna. Ai soccorritori del 118. A qualche faccia impaurita che ho visto tra la folla.
E allora di nuovo no, non voglio farci niente. Ma raccontarlo Sì. Perché, in fin dei conti, nessuna vita è essenziale e nessuna sua perdita porta alla fine del mondo.
Nemmeno quella del capotreno”.
Questo racconto, da rabbrividire per come fotografa impietosamente il punto a cui siamo arrivati, è una grande lezione per tutti, solo che ci si voglia soffermare a riflettere un attimo. Voglio sperare che anche quel capotreno, magari alla fine del turno, abbia pensato a ciò che aveva detto e se ne sia pentito.
Grazie, Vania, per questa testimonianza.
Piero
Buon giorno: questo racconto a mio modo di vedere conferma che invece le differenze tra le persone ci sono. Non siamo assolutamente tutti uguali. Il contrario, siamo tutti diversi e ci sono valori che se posseduti ti rendono senza ombra di dubbio un essere superiore a coloro che non li possiedono. Certo non è il colore della pelle, lo stato sociale , la provenienza o il credo religioso. Ma non vi è dubbio alcuno che quel capotreno si è dimostrato stupido nella migliore delle ipotesi. E questo è preoccupante visto il ruolo.
Massimo Scalas