UMILIATI E OFFESI

Filippelli

PISTOIA. Ecco alcune riflessioni di un nostro lettore.

In questo paese formalmente democratico, in cui persiste il tantra delle riforme, di ammodernamento ( privatizzazioni e affossamento di tutele democratiche) che poi è un eufemismo per dire sparizione di diritti acquisiti in questi anni: diritto alla salute, scuola pubblica decente, un contratto di lavoro che non sia un capestro e mascheri dietro il facile risultato il bluff della continua precarietà; è in giogo la tenuta sociale!

In Francia in questi giorni stiamo assistendo a delle rivolte per modificare il cugino del nostro Job Act, qui da noi c’è solo mormorazione, mugugni, rassegnazione e una disincantata aspettativa che le cose cambino da sé o comunque affidandosi ancora per delega a questa compagine politica riflesso speculare di una società mutata in peggio prima dagli anni 80, poi dal ventennio berlusconiano, per approdare all’era renziana, ultima mutazione genetica di una sinistra ormai assente.

La colpa non è solo dei politici, ma di questo popolo, che si è disinteressato del cosidetto “bene comune” anche se torna ormai ripetuto in mille salse, ma più negli intenti che nei fatti; una sorta di dolce accidia pensando chissà come andrà a finire…

I beni posizionali, lo smarthophone, l’iphone, la grossa macchina, sono armi di distrazione di massa, in cui l’Italiano finché non può non pensare si rimbambisce bene e poi la visione della partita (strategie antiche).

Una chiusura nel privato, una lotta quotidiana per la sopravvivenza, hanno portato a delle città non-luoghi, dove l’incontro in carne e ossa diventa un evento straordinario, una epifania in strada, preferendo la realtà virtuale a scapito della partecipazione e del dibattito democratico presentato dal pd e il suo gotha ieratico e lontano dalle piccole miserie quotidiane del popolo, continua sulla discussione del referendum sulla strumentalizzazione dei partigiani (oggi penso non sarebbero per niente contenti e forse trasalirebbero quelli che hanno lasciato la vita per la libertà), mentre i tanti umilati e offesi, quelli ai bordi della strada, non hanno più la forza di gridare, perché le condizioni sociali non permettono una vita dignitosa e secondo i primi diritti della nostra Costituzione.

Mi chiedo in tutto questo periodo come è stato possibile crearsi un tale fossato, una diacronia, fra la partecipazione popolare, l’interesse verso le questioni basilari, e la situazione odierna caratterizzata dallo spegnimento di un progetto sociale veramente democratico, dove la casa e il lavoro siano un diritto per tutti, dove la situazione del vicino mi importa (J care).

Poi mi viene in soccorso la lucidità che dovrebbe essere il fine della cultura; la velocità di una sinistra che per realismo storico doveva rinnegare come una colpa originale aver creduto ad un’altra società, il marxismo che causò tanto male, per svecchiarsi e adattarsi ai parametri del nuovo corso, e abbracciare subito un ultraliberalismo per non perdere il carro della storia anzi per starci dentro magari con uno sguardo al passato, citando Berlinguer.

Così abbiamo una sinistra neoliberista, che accontenta sia la Confindustria, sia la maggioranza silenziosa mentre il “popolo” se così si può ancora dire rischiando di apparire arcaico, non ha più riferimenti né rappresentanti credibili.

Massimiliano Filippelli

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