MONTALE. Ci sono voluti oltre due mesi per avere la risposta orale da Don Ferdinando sulla vicenda della buvette comunale della stanza 13, resa al Consiglio comunale il 6 aprile, con una toppa che ci è parsa assai peggiore del buco: Betti spiegò l’arcano, confermando l’esistenza della buvette (riservata a una pizzicotto di potenti dipendenti, sindacalizzati e intoccabili) e precisando – con una spiegazione fasulla – che non c’era nessuna anomalia o perdita dell’orario di lavoro, perché ai buvettari – e specificamente l’innominabile Dalia – (Monfardini), venivano “decurtati automaticamente i minuti di sosta”.
Risultato: i dipendenti se ne catafottono di strisciare il badge nella pausa del caffè come disposto dalla Segretaria Generale D’Amico nel suo ordine di servizio (ignorato dai dirigenti) e quindi tutto scorre come prima.
Betti, nella risposta, specificò (vedi sotto) per bne due volte che avrebbe valutato la possibilità di “aderire” alle vie legali: farebbe meglio ad aderire alle richieste di risposta alle nostre domande sulla vicenda del “carbonizzo” e, semmai, “adire” le vie legali, se ricorrono i presupposti.
Gli intoccabili, non si possono toccare.
Secondo il primo cittadino, i buvettari “recuperavano il tempo perduto” e da ciò emerge la pausa caffè ha una durata indeterminata: se il dipendente sfora il tempo convenzionalmente pattuito per i “minuti di sosta” nessuno può contestare alcunché, non avendo mai strisciato l’uscita esatta, non registrata dal sistema automatico.
Sull’argomento, all’indomani della nostra inchiesta svoltasi nei mesi invernali, intervenne la segretaria generale D’Amico che fino ad allora, in tutti gli anni di presenza negli uffici comunali, non aveva mai sentito odori né visto passare brioches o tintinnar cucchiaini nelle tazzine di miscele d’arabica.
La questione è tuttora irrisolta, il Betti non rispose nemmeno all’interrogazione proposta dal consigliere Alberto Fedi, articolata in diverse domande; e dunque tocca a noi dire quello che non è stato detto.
La concessione contrattuale di recupero automatico del “tempo perduto”, non potrà esimere i dipendenti dallo strisciare il badge per allontanarsi dal proprio posto di lavoro, a tempo non definito, perché non registrato nella pausa caffè.
Come si dimostra, se non c’è la “timbratura”, che la “pausa di sospensione” dal lavoro è solo del caffè, ovvero di una decina di minuti e non una maggiore pausa per attività più lunghe e che non sarebbero ammesse?
L’inchiesta prosegue con una nostra ulteriore verifica sullo “storico” dei tabulati ricevuti. L’elaborazione (fatta a campione di due giorni di lunedì e venerdì per ciascun marzo di ogni anno) ci ha permesso di comprendere bene che la rassicurazione del Sindaco Betti è stata surrettizia per intortare Consiglio e cittadini: nel confronto tra il periodo scelto a campione degli anni 2017 e 2018 (antecedente l’ordine di servizio della Segretaria Generale del 6 febbraio 2019) e il successivo del marzo scorso, le pause del caffè sono le medesime, ristrette complessivamente sulle dita di due mano: solo sette in sei giorni esaminati, cioè solo circa il 4 % dei dipendenti rispetta la prescrizione di servizio del 6 febbraio emanata urbi et orbi ai dirigenti delle unità operative dei due comuni del Mont-Ana.
L’analisi del campione di due giorni scelti (un lunedì e un venerdì) della seconda decade dei mesi di marzo degli anni 2017, 2018 e 2019 dimostra che la situazione delle pause è invariata: dei circa 50 dipendenti del Comune solo tre hanno strisciato il badge nel lunedì 13 marzo 2017, nessuno nel venerdì 17 marzo201; nessuno il 12 marzo e 16 marzo 2018; mentre dopo la solenne emanazione della circolare della Fata Smemorina del 6 febbraio 2019 – esattamente i giorni 11 e 15 Marzo – hanno strisciato il badge solo due dipendenti, cioè appena il 4% dei totali.
Insomma la Segretaria Generale ha fatto una lettera “travestita” di argomentazioni ridondanti e di circostanza togliendosi così dall’impiccio per non aver controllato, il Sindaco non l’ha fatta adottare in senso stretto e la buvette continua a sfornare ottimi tortini riscaldati al microonde, con la rassegnazione di quel 90% dei dipendenti che – essendo meno uguali agli altri (ve la ricordate la Fattoria degli animali di George Orwell?) non ne apprezzano i servigi: tutti gli animali sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri.
L’analisi dimostra che il 96% dei dipendenti non fa la pausa caffè oppure – decidete voi – non rispetta l’ordine di servizio della D’Amico.
In entrambi i casi, il Sindaco Betti sembra aver mentito dicendo che il problema è risolto con una aleatoria formula di “decurtazione automatica dei minuti di pausa” che non permette alcun controllo effettivo.
Ma da don Ferdinando non si può pretendere di più: nel suo Comune fi fanno anche gli strumenti urbanistici secretando il nome dei proprietari delle terre che vegnono castrate o toccate dalla mano della divina provvidenza, come nel caso-Carbonizzo…
Alessandro Romiti
[alessandroromiti@linealinea.info]
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