MARINA DI PIETRASANTA. I dipinti campeggiano su tre grandi schermi mentre Sgarbi, l’interprete, sta sulla destra del palco, di lato rispetto alle immagini ma ugualmente centralissimo, instancabile, appena allentato dal caldo e dal dover stare sempre in piedi, rivolto al pubblico ma con lo sguardo e il gesto richiamati dai grandi quadri.
Sgarbi inizia da Pasolini. Una serie di immagini del poeta morto ammazzato scorrono sugli schermi mentre si sente la voce di Moravia che, impazzito dal dolore grida “il poeta è sacro”.
Poi inizia la sua narrazione: come i grandi pittori del fascismo sono stati Mantegna o Piero della Francesca così il pittore del dopoguerra, quello del 900 è Caravaggio. È il pittore delle lotte di classe, delle cose concrete, rappresenta le nostre paure, le nostre emozioni meglio di tutti gli altri.
In realtà Caravaggio – dice Sgarbi – nasce nel 1951, con la prima mostra delle sue opere a Milano. Quello è il momento in cui la verità del suo lavoro può essere davvero apprezzata.
Pasolini e Caravaggio hanno dunque vicende esistenziali assimilabili e Sgarbi ce le illustra “per tabulas”. L’opera prima “I ragazzi di vita” di Pasolini e “Il concerto” da cui traspare la mollezza del piacere, la leggerezza delle giornate dedicate a strimpellare musica, a cazzeggiare – dice Sgarbi – sono il primo esempio.
E così nel “Fanciullo con canestro di frutta” che offre e propone mele succose e fichi, e poi nel “bacchino malato” che anticipa con cupezza il male, la peste, che colpirà da lì a qualche secolo le dissipatezze degli uomini, si legge un’affinità con il sentimento dell’esistenza pasoliniana, con le sue frequentazioni (molte le somiglianze somatiche tra i ragazzi che si accompagnavano a Pasolini e i giovani ritratti dal Caravaggio).
Segue una magistrale esemplificazione della fuga in Egitto, in cui tra l’altro Sgarbi coglie l’occasione per dire che l’Arte è ciò che ti fa vedere le cose per la prima volta in modo diverso.
Mettendo accanto la stessa opera di Giotto e di Jacopo Bassano, e di altri illustri, l’autore ci fa notare come si tratti della stessa rappresentazione con la Madonna centrale – a disporre e decidere come sempre fanno le donne rompicoglioni – il povero San Giuseppe impegnato a “tirare il carretto” mentre l’angelo è marginalizzato in alto a destra, con la sola funzione di indicare la strada come un qualunque tom-tom, ma ecco che Caravaggio irrompe con la sua visione originale, concreta, attuale e rappresenta una Madonna troppo stanca e quindi appoggiata in disparte a dormire e un San Giuseppe invece finalmente propositivo e lieto di poter conferire con l’Angelo (l’oggetto del desiderio) che riempie – di spalle, sinuoso – il primo piano in uno sfavillio di bianco penne e piume. Giuseppe è visibilmente emozionato tanto da soprammettere le punte dei piedi, mentre gli occhi decisamente sognano.
Si va avanti di meraviglia in meraviglia mentre trascorre sotto i nostri occhi la vita terrena e artistica di Michelangelo Merisi attraverso “I Bari” definito da Sgarbi un quadro inutile se non per significare un attimo, cogliere l’hic et nunc di cose umane, la stessa cosa che capita anche nel “Ragazzo morso da un ramarro”, ed in altre numerose opere in cui l’Artista non ha interesse a raffigurare ciò che si era proposto ma quello che invece avviene in quel preciso momento. Fino alla maturità e alla morte, dopo le vicende personali che lo costringono a fuggire dai luoghi dove ha fatto debiti, ha ucciso (tal Tomassoni che gli aveva rubato la ragazza…) ed ha commesso ogni nefandezza; i suoi colori si placano, la luce si attenua e le tavole risultano meno imbandite.
L’Artista è ancora vivo nell’espressione degli occhi spalancati della sua testa mozzata, raffigurata nel Davide con la testa di Golia, l’ultimo lavoro, un quadro di cui fare omaggio a Papa Paolo V per chiedere la grazia e poter tornare in patria.
È il 1610, il Caravaggio muore prima di arrivare a Roma. Sgarbi riceve molti applausi, ringrazia e si ferma a firmare libri e autografi. È un grande, anche lui ne suo genere, un grande del nostro tempo che con passione (a volte esorbitante) interpreta l’arte e il mondo che l’accoglie.
Regia Angelo Generali le musiche di Valentino Corvino e le immagini elaborate da Tommaso Arosio.