PISTOIA. La realtà è l’avversaria più temibile con cui fare a pugni, nonostante questo sia un esercizio quotidiano a cui noi dovremmo, ormai, esser abituati.
Dal primo momento in cui apriamo gli occhi nel minuscolo appartamento affittato, alle prime luci del mattino, lo scontro con la dura realtà ha inizio.
Siamo alla fine del percorso. Nessuno ammette ad alta voce il proprio disagio, la propria profonda tristezza, eppure è tutto così comprensibile.
I miei sette compagni di viaggio, di Cammino, formano una lunga fila per tutti i quindici chilometri che ci separano da Santiago di Compostela, la nostra meta finale.
Non è un gruppo compatto quello di oggi. Ho Marco accanto a me: alterna battute a momenti di profonda angoscia.
Guardo avanti e vedo Adele. Ancor più avanti di lei c’è Diego con sua sorella. Non li distinguo. Mi volto e vedo Martina, si è tolta la sua felpa rossa, indossa una t-shirt bianca. Stavolta non rallento per aspettarla. Se la avessi accanto a me non riuscirei in alcun modo a trattenermi…
Degli orrendi botti in aria ci accompagnano verso il nostro traguardo. Deve essere un funerale, o almeno così mi spiegarono due anni fa durante il mio primo Cammino.
Mi volto ancora una volta e Martina mi pare più vicina. La madre di Diego chiude il gruppo sfilacciato, ma non credo volutamente, piuttosto perché stanca.
Chiamo Adele a gran voce. Urlo con tutto il fiato che ho in corpo. Quando lei si gira riesco solo a dirle di rallentare perché si sta allontanando troppo. In realtà le avrei voluto dire quanto mi mancherà nei prossimi giorni. Adele, la ragazza silenziosa, l’amica di una vita della mia Martina, la ragazza dalle mani morbide e i capelli ribelli.
Dal niente, di colpo, ci troviamo a fiancheggiare la cattedrale di Santiago di Compostela. Accelero il passo lasciandomi tutti dietro di qualche metro. Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Un maledetto turista mi scuote dal mio torpore chiedendomi di scattargli una foto. Ecco fatto, adesso vattene al diavolo!
Siamo tutti seduti per terra davanti a quest’immensa e bellissima chiesa. Martina e Adele si commuovono. Marco mi guarda, io annuisco e gli stringo una mano. Ce l’abbiamo fatta, amico mio.
Come ho sempre scritto, anche stavolta Martina è accanto a me. La pienezza, la gioia e il dolore che riempiono le nostre anime di soddisfazione e i nostri occhi di lacrime ci rendono chiaro che questo è il fertilizzante per rendere la vita verde e rigogliosa.
Scatto una foto alle sue guance rosse e ai suoi capelli ribelli mentre mi guarda. Sorride, non deve però esser felice di esser stata immortala senza preavviso.
Chiudo gli occhi, mi stendo sul mio zaino e con una mano le tocco una gamba.
Per me, adesso, questo è il senso della vita: amare ed essere amati…
[Lorenzo Zuppini]