La frattura fra i poteri dello stato è – spiace dirlo, ma per chi la storia la capisce anche solo un po’ – insanabile. Uno schizzo di nero-di-seppia in faccia ai pescatori perché non distinguano la loro insostenibile leggerezza dell’essere italiani
La questione di Vicofaro è come il conflitto Russia-Ucraina
IN ITALIA GLI ITALIANI
PASSANO PER ULTIMI
Ieri ho affrontato il tema-Vicofaro con la metafora del brodo che sobbolle.
Oggi, con la ripresa della stampa cittadina, che dedica padellate di pagine alla questione, torna ancora a mano la stessa metafora, in cui il brodo però, che sobbolle lento lento, assume sempre di più la colorazione del brodo nero degli spartani, il cibo di moda nella città più comunista del mondo.
Sparta, voglio dire: paragonata all’Urss del post-45 da Piero Treves, mio maestro di storia antica all’università di Firenze. Una Sparta con un senso dello stato insuperato e insuperabile, ovvero l’esatto contrario di oggi, tempo infame in cui la legge è spregiata dagli stessi suoi tutori, i Pm capricciosi e i loro sostituti da Terra Aperta.
Fra i quali Claudio Curreli, che potrebbe tranquillamente essere accusato, stando alle leggi democratiche di Sparta, di medismòs: in volgare italiano la tendenza a tradire la legge nazionale “a favore dei persiani” (detti appunto anche Medi). I quali, all’uopo di oggi, sarebbero i vari Soros che lavorano per l’aborrita “sostituzione etnica” dell’Italia. E se questa espressione è riprovevole, chi se ne frega, dal momento che è un dato di fatto?
La gente che, per la decisione di Alessandro Tomasi, ieri esultava (a cui avevo, però, detto di darsi una calmatina, dato il fatto certo che in Italia non cambia mai nulla se non per restare com’è), oggi sarà meno pimpante. E basterà vedere ciò che inizia a trasparire dai commenti. E dalle promesse di tutte le parti in commedia.
Smantellare Vicofaro? si legge. È praticamente impossibile: questa la conclusione. E se ciò avvenisse (ripeto io per i più duri), due giorni dopo don Biancalani troverebbe altri 200 migranti clandestini da accogliere, perché, se dopo duemila anni di cristianesimo di tutti i tipi, gli stessi cattolici non sono riusciti ad abbattere la miseria, l’ingiustizia, lo sfruttamento e quant’altro, ma addirittura, mentre a Vicofaro i clandestini sono ammassati in chiesa e con le padelle sul fonte battesimale, certi prìncipi della chiesa possono perfino contare su appartamenti anche di 500 metri quadrati, come il cardinale Bertone: resta difficile, se non impossibile, credere alle parole dei rappresentanti di Cristo in terra. In primis il democratico Francesco, predicatore dei ponti e non dei muri.
In democrazia – ammesso che essa sia possibile e vera – tutti sono uguali (e a Sparta lo erano). Così nel momento in cui uno straniero, invitato a una cena ufficiale stile-G8, si rifiutò di mangiare il brodo nero di moda fra gli spartiati, gli fu risposto che lì, nella capitale del Peloponneso, il farmaco per stuzzicare l’appetito per il cibo dei pranzi in comune era una ricetta semplice: il lavoro, le esercitazioni militari e l’esercizio fisico realizzato con corse faticosissime lungo il fiume Eurota.
Ce li vedete i parassitoni del nostro stato (parlo dei tre poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario) a sfiancarsi in questo modo e poi a sedersi a tavola, tutti insieme, come alle feste dell’Unità, per sukare brodo nero realizzato non con pancetta, osso di zampa e coda più aromi, ma solo con frattaglie e scarti di interiora di maiali, sangue compreso? Io, onestamente no!
Ed eccoci a bomba al grande inganno. Il prefetto, che non si è mai visto né sentito, se non in una prima salottesca intervista di Tvl, da Luigione, per il benvenuto; e poi, sempre su Tvl, dalla supernave delle super-crociere, da cui esternò sciorinando una deludente e trita retorica filo-handicap: la prefettA s’è svegliata ed è partita di rincorsa. Forse c’è, allora.
O forse è solo uno schizzo di nero-di-seppia in faccia ai pescatori perché non distinguano la loro insostenibile leggerezza dell’essere italiani: dei governi tutti; di centro, di destra, di sinistra e bastardi come quelli di vari decenni voluti e incollati con lo sputo dal non-presidente Mattarella. Gialloverdi, verdegialli, scoloriti o rosso-fucsia: alla malva, al crescione, alle bietole e ai peperoni. Draghi per ultimo e poi la Meloni.
La frattura fra i poteri dello stato è – spiace dirlo, ma per chi la storia la capisce anche solo un po’ – insanabile.
E lo è perché in questo paese di santi, navigatori, poeti e pèti e benìm zonà (in ebraico “fij de ’na mignotta”), il senso dello stato è stato cancellato e abraso accuratamente da tanta sinistra progressista la quale, partita dall’idolatria dei sinistroni della storia (da Marx ai suoi ultimi epigoni, tutti morti e sepolti, ma solo dopo un’opportuna perestrojka, tant’è che i post-comunisti oggi esercitano il culilinguo di Biden al pari della destra della Meloni & C.), oggi o tiene i quattrini nella cuccia del cane oppure spende 3-400 euro l’ora per farsi consigliare i colori da indossare: nein, nein, nein, com’è ganza l’Elly Schlein!
Se questo non è un inganno per citrulli, mi dite, per favore, cos’è? È, come il problema di Vicofaro, un pericoloso ammasso di clandestini che non vanno definiti tali, perché il cervello all’ammasso ripudia l’evidenza delle cose in sé e per sé? Manca il senso dello stato, tanto per tornare e volgere alle conclusioni.
Perché se tale senso esistesse, i cittadini italiani, senza menare troppo il can per l’aia, dinanzi a una procura della repubblica che è, di fatto, la negazione di se stessa; dinanzi al suo inaccettabile e sconcertante doppiopesismo nel vigilare sulle violazioni di legge; dinanzi al fenomeno di un sostituto (Curreli) che fa liberamente e senza problemi ciò che vuole, anche contro ogni tipo di rispetto della legalità e dell’incompatibilità, saprebbe applicare il “senso dello stato spartano” secondo la regola-Pausania.
Il famoso personaggio di tal nome, per salvarsi dalla pena capitale, si rifugiò nel tempio d’Atena Calcieca come supplice. Non potendolo arrestare nel tempio, gli efori (ossia il governo spartano) ordinarono di sigillarne le porte con un mucchio di sassi. Poi il tempio fu scoperchiato perché chi vi si era rifugiato soffrisse fame, sete, caldo e freddo. Così Pausania, l’eroe di Platea, morì di fame, sete e stenti.
E a portare la prima pietra dinanzi alla porta del tempio, la tradizione vuole che fosse stata proprio sua madre.
Ora pensate. Ce lo vedete Mattarella, la “mamma della magistratura”, a portare la prima pietra per sigillare la porta del “tempio” dove s’aduna il Consiglio Superiore della Magistratura?
Edoardo Bianchini
Unico clandestino di Pistoia
[direttore@linealibera.it]
Semel sacerdos, semper sacerdos
Sine dubio heres manebit, qui semel extitit
[Ulpiano in Dig., 4, 4, 7, 10]Chi ha superato l’esame di stato per giornalista, lo è e lo resta per sempre