PISTOIA – “L’altra sera a Vicofaro è successo qualcosa che mi ha amareggiato profondamente. Non ne ero stato certo avvisato; e perché mai avrei dovuto esserlo, del resto? Mi ha amareggiato per tanti motivi, non per uno solo.
Qualcosa mi inquieta e non mi piace in ciò che è accaduto.
E’ stato un punto che ha segnato il vertice di una escalation insopportabile. Invece di sciogliersi e trovare una soluzione accettabile, la vicenda di Vicofaro nel tempo è andata sempre più ingigantendosi, complicandosi, esacerbandosi.
Ma – mi dico – non sarebbe meglio spegnere i riflettori su Vicofaro e cercare tutti, come già diceva il grande Papa S. Giovanni XXIII°, ciò che ci unisce, piuttosto ciò che ci divide?
In tempi di schieramenti sempre più feroci, questa mia affermazione non andrà a genio a molti. Non importa perché non ho da piacere a nessuno. Sono del tutto convinto che la verità non stia mai tutta solamente da una parte e nessuno la possieda completamente.
Ci sono sempre ragioni da una parte e dall’altra. Solo nell’ascolto reciproco, nell’attenzione all’altro, nel venirsi incontro si trova la soluzione ai problemi.
A Pistoia questo è possibile? A volte, sinceramente mi pare proprio di no. Eppure io credo che dobbiamo tutti sforzarci di fare un passo indietro e ragionare, senza farci prendere dall’emotività o, peggio, dai risentimenti.
Chi è credente in Gesù Cristo sa bene che non possiamo accusarci l’un l’altro di essere lontani da Lui, ma solo correggerci fraternamente perché tutti impariamo a seguirlo sempre di più laddove egli ha voluto essere: nella Chiesa, nella sua parola, nei sacramenti, nel volto dei poveri come i migranti che vengono da noi in cerca di futuro per la loro vita.
Vorrei allora che ci domandassimo: ma tutta questa storia, la vicenda di Vicofaro, da quando l’anno scorso iniziò sui social, ci ha portato ad essere migliori? Ha condotto a migliorare questa città? Ha fatto aumentare il numero delle persone solidali e aperte agli altri? Ha fatto crescere in questa città il senso di una fraternità accogliente? Ha permesso una vera integrazione degli ospiti accolti?
Onestamente, mi pare proprio di no.
È aumentata l’intolleranza; nel quartiere qualcuno è giunto all’esasperazione; nel frattempo le posizioni si sono soltanto radicalizzate e politicizzate, tant’è che sembra di esser tornati al tempo dei Panciatichi e dei Cancellieri. Manca solo che ci si cominci ad accoltellare l’un l’altro.
È questo che vogliamo? Ci pare che si possa costruire qualcosa di bello in questo modo? Vogliamo arrivare alla guerra? L’unica cosa da fare è “chiamare alle armi”?
Credo piuttosto che dovremmo tutti interrogarci sulle nostre responsabilità e su cosa possiamo fare in positivo perché Vicofaro diventi davvero un luogo di speranza e non di scontro; di unione e di pace e non occasione di divisione e di contrasti, un laboratorio di civiltà e di convivenza e non un terreno di lotta.
Molto può fare don Massimo, sicuramente. Molto dipende da lui. Non voglio dire di più. Credo che se ne stia rendendo sempre più conto.
Non è in discussione l’accoglienza. Quelli che la mettono in discussione, lo dico chiaramente, sbagliano di grosso. Vorrei che costoro capissero che l’accoglienza è un valore grande, profondamente umano e cristiano. Vorrei che non si facessero confondere le idee da slogan, luoghi comuni o ben congegnate falsità.
L’accoglienza vera però mira all’integrazione. Richiede attenzione alle persone e al luogo dove si realizza; deve riuscire a intavolare un dialogo costruttivo con i nostri ambienti, con tutti i settori della nostra società; deve cercare di superare pregiudizi e paure, facendo crescere la conoscenza e la relazione tra le persone; con pazienza, dolcezza, positività.
Deve essere sempre “accompagnata” e mettendo in atto un processo educativo che insegni anche il rispetto per gli usi, le tradizioni, i valori del popolo in cui si è accolti.
Oltre a don Massimo, possono fare qualcosa anche chi sta attorno a lui, aiutandolo a migliorarsi, a porsi nel modo giusto nei confronti della gente del quartiere, delle autorità, della comunità parrocchiale.
Possono fare qualcosa anche i politici. Si: star fuori da Vicofaro. Lo dico chiaramente.
A Vicofaro non si combatte una battaglia tra schieramenti politici; tra chi è a favore del governo e chi è contro.
Non può essere l’occasione per condurre lotte partitiche. L’esperienza di Vicofaro è nata dentro una parrocchia quale segno dell’attenzione della chiesa al mondo dei migranti e questo deve rimanere, non può snaturarsi. E questa è anche una mia precisa responsabilità.
Potrebbe fare qualcosa anche il governo. Si, il governo. Nazionale e locale.
Alla fine, in ultima istanza, è a chi governa che si può attribuire quanto accaduto l’altra sera. Purtroppo mi pare che se il governo precedente ci ha dato una pessima gestione del fenomeno migratorio, giocata tutta o esclusivamente sull’emergenza, l’attuale si sta muovendo in una linea dura di rigore che non è ragionevole e rischia di offrire obiettivamente spazio a sentimenti razzisti e xenofobi indegni dell’uomo e del nostro paese.
Ma i governi, in un paese democratico, li scelgono in buona sostanza i cittadini con il voto; quindi non è lamentandosi che si cambiano le cose ma acquisendo consensi attorno a valori e scelte più confacenti alla dignità umana.
Potrebbero infine fare qualcosa anche i mezzi di comunicazione, se cercassero di abbassare i toni e invitassero alla ragione. Se spegnessero un po’ i riflettori su Vicofaro e non inseguissero o, peggio, creassero la notizia che fa più rumore.
Se mettessero invece sempre più in luce le cose positive che sono presenti nel nostro territorio e che ci permettono di sperare in una risoluzione dei problemi e in un futuro migliore di questa città.
Credo che tutti vogliamo che Pistoia sia una città di pace, bella, accogliente, multietnica e al tempo stesso sicura e ben custodita, che cresce e prospera attraverso l’apporto sereno di tutti. E allora, lavoriamo tutti generosamente per questo.
Per questo diamoci da fare, insieme.
Mons. Fausto Tardelli Vescovo di Pistoia