VIRGINIA NUTI, BASTA E AVANZA

Virginia Nuti
Virginia Nuti

PRATO. Pensavamo, ieri sera, tornando a casa, di aver scoperto un piccolo talento. Poi, prima di prodigarci a scrivere, abbiamo fatto un provvidenziale salto su internet e abbiamo in realtà scoperto che Virginia Nuti è già una voce debitamente considerata. Ma non solo dagli amici partigiani che hanno accompagnato i suoi sogni di gloria, ma dall’ambiente delle note che conta, da Gloria Gaynor a Giorgia, da Giò di Tonno a Cris Pacini e da tutto quello che inevitabilmente incrocerà lungo il suo cammino.

La cronaca, la cronaca del nostro incontro con Virginia, comunque, è storia recentissima, di ieri sera, giovedì 2 luglio, quando siamo incappati nella sua voce al refrigerio della Bastione delle Forche, a Prato, in piazza Mercatale, dove poco dopo le 22, nei panni di Virgi’n’Cisco, ha deliziato il pubblico del locale, dando libero sfogo al suo repertorio timbrico, che contempla un innumerevole volume di generi. Ha iniziato con Elton John, Steve Wonder e i Beatles, con una nonchalance di rivisitazione degna delle migliori e più stimate vocaliste.

Sulla terrazza sopra la valle del Bisenzio, con il refrigerio sopravvivenziale che giungeva dalla conca di Calenzano che scorre fino a Prato lungo il fiume delle nutrie, la gente era lì soprattutto perché il locale, con questi climi, è terreno fertile di serate di incontri: al Bastione delle Forche si mangia, si beve, si fuma senza assilli di infastidire qualche salutista e si aspetta che la notte rimpiccolisca ulteriormente, per entrare in confidenza con chi decide di viverla fino all’alba.

E dopo una mezz’oretta di musica confezionata in consolle, è arrivata lei, con la sua disarmante semplicità interpretativa, quella imparata in tanti anni di studio e applicazioni, seguendo i corsi canori e di impostazione di Stefania Scarinzi, Maria Grazia Fontana e Gisella Burinato, tanto per fare qualche nome e capire che stiamo parlando di una signora della canzone con l’aspetto da adolescente.

Virginia Nuti
Virginia Nuti

Il repertorio è proseguito contemplando riletture audaci, anche quelle apparentemente meno improvvide, ma non per questo più addomesticabili. In compagnia di una tastiera prima e di una chitarra dopo, quella di Francisco Javier Falconi, Virginia ha proseguito il sondaggio e la stima delle emozioni regalateci nel tempo di chi, con la musica, ha pattuito legami inossidabili. Lo ha fatto senza risparmiarci la sua creatività, che consiste, ad esempio, nel voler dare delle leggere passate di black music in tutto ciò che riarrangia.

Si è messa all’anima di perlustrare Paolo Conte e Lucio Battisti, prima di tornare negli ambienti che più le si addicono, che sono quelli senza paletti, senza recinti, senza limitazioni. Ha continuato a graffiare senza risparmiare l’incolumità di nessuno, restando lì, accanto al suo compagno indios di rappresentazioni, che l’ha assecondata con la grazia e la consapevolezza di chi sa di stare al fianco ad un diaframma che esige e merita rispetto.

Un’ugola impertinente, che non si accontenta di nulla. La cura delle estensioni vocali infatti non l’ha indotta a non fare altrettanta attenzione alla sua naturale propensione artistica, quella che le ha fatto esplorare anche il mondo della regia e della scenografia, passando attraverso il diploma di laurea di scienze motorie, diventando insegnante di canto moderno al laboratorio di Walter Savelli, addentrandosi nei meandri del jazz e proseguendo, con perfetta dimestichezza, la vita quotidiana delle esibizioni live, quelle che ti fanno capire se il groove regge, quelle che offrono la fortuna a gente come noi di incontrare una voce come la sua.

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