wonderland italy. HOUSTON, ABBIAMO UN PROBLEMA. ANZI TRE

Foto di gruppo a Palazzo Chigi
Foto di gruppo a Palazzo Chigi

IN ECONOMIA i fattori che decidono delle fortune di una nazione sono tanti e complessi.

In linea di massima, per come è il mondo oggi, possiamo dire che i periodi di crescita e di recessione non dipendono molto dai singoli Stati. Ma è chiaro che gli esiti di una fase recessiva o di crescita possono essere più o meno accentuati e a volte anche diametralmente opposti a seconda delle condotte interne a ciascun Paese.

Questa settimana mi voglio soffermare in particolare su alcuni attori che, pur sullo sfondo, sono decisivi nel medio-lungo periodo per le sorti di un Paese.

In genere e per noi italiani in particolare è assai raro che si riesca a pensare se stessi e la propria nazione proiettati nel lungo periodo. Eppure è questo che serve per uscire dal pantano attuale. Vedere al di là del proprio naso, al di là dell’orticello di casa.

COMPETENZA E OBBIETTIVITÀ VIAGGIANO INSIEME

Partiamo con una questione che ogni tanto emerge prepotentemente all’attenzione di chi attento è. Quindi pochi.

Questa è un’epoca con un tale sovra dosaggio di informazioni che alla fine è semplice per dolo, per colpa, per distrazione, per mancanza di professionalità o per tutte queste cose messe insieme, infilare emerite castronerie in mezzo alle pagine di un giornale. Tanto nessuno se ne accorge.

Prendiamo ad esempio due articoli del 18 di agosto del Corriere e della Repubblica. Il primo pubblica una “bella” intervista al viceministro Morando in cui, come sempre, oltre al proposito di chiedere alla Commissione Ue di poter fare più debito per “rilanciare l’economia” (notiamo che in questi primi due anni di governo Renzi, il primo proposito è riuscito benissimo con il raggiungimento del record storico del debito pubblico, il secondo è stato clamorosamente mancato, come attesta il Pil trimestrale), si invoca una fine dell’austerità europea, che da almeno due anni non esiste più.

Il nostro Morando, che evidentemente non sa che i dati relativi al Pil del secondo trimestre sono usciti la settimana prima, confida in “un risultato del Pil migliore nel secondo (Morando, troppo tardi! L’hanno già dato!) e terzo trimestre”.

Ma qui si viene al bello: infatti il Corriere, a corredo dell’intervista, mette una bella foto con l’andamento del Pil trimestrale.

Uno strano errore
Uno strano errore

Il grafico riporta le varie revisioni di stima del Pil e, come si nota, i nostri governi restano composti da inguaribili ottimisti.

Ma soprattutto notate, sotto la freccia rossa, il valore attribuito al Pil del secondo trimestre 2016 (2T 16) che è pari a +0,7%.

Ora, siccome non siamo tutti al bar a parlare del Milan, noi che seguiamo i dati per mestiere, siamo consapevoli che il valore +0,7% è riferito al tendenziale annuo che è drasticamente sceso dal +1% precedente. Mentre il dato trimestrale non è +0,7% ma uno zero (0) spaccato (vedi nostro articolo della settimana scorsa).

Questo cosa significa? Può significare solo due cose: o al Corriere confondono un dato congiunturale per uno tendenziale, oppure pensano che i lettori siano scemi.

Cisco, le mele e le pere…
Cisco, le mele e le pere…

Quale delle due? Vi do un indizio: il dato precedente, cioè del primo trimestre, è riportato sull’istogramma correttamente (la barretta blu dà il giusto valore). Solo l’ultimo, quello evidenziato dalla freccia rossa, è sbagliato e dà al lettore l’idea che il Pil cresca. Dunque, secondo voi?

Il secondo esempio ce lo dà Repubblica che pubblica un articolo sul declino dei Pc (Personal Computer), assumendone a emblema la società Cisco. Io qui mi limito a mettere il link dello articolo e a chiedere al direttore di Repubblica se davvero, davvero, non era possibile controllare qui, prima di andare in stampa… e magari anche qui per dare un occhio al conto economico di questa azienda “in crisi”, tanto per capire…

Domandone finale: perché dobbiamo ancora dare soldi pubblici a questi giornali?

UNA CASTA CHE NON SERVE A NULLA

Ma noi italiani (e non solo noi) abbiamo un problema aggiuntivo. Che ormai, al pari della burocrazia, impedisce qualsiasi politica seria di riforme, di risparmi veri, di uscita da quella cultura del piagnisteo tanto cara a vasti strati sociali: il sindacato.

Per capirlo basta leggere questa intervista della Furlan a La Stampa (lo vedete che tutto si tiene?).

In tale intervista la nostra sindacalista, dopo essersi unita al coro di quelli che vogliono fare più debito chiedendo all’Ue di non rompere, si adopera anch’essa per picconare l’unico provvedimento efficace varato negli ultimi 10 anni per contenere la spesa pubblica e rendere sostenibile il sistema pensionistico: la riforma Fornero (al netto della schifezza sugli esodati).

Ma il meglio di sé lo dà sul rinnovo dei contratti pubblici glissando amabilmente sui furbetti del cartellino, sui servizi spesso inadeguati e sulla produttività inesistente nella Pa.

Questa intervista è una dimostrazione plastica del perché l’Italia va come va. Ma come va davvero per i dipendenti pubblici?

Ecco un bel grafico dell’Ocse (Oecd nel mondo anglosassone).

La verità sui dipendenti pubblici che non piace ai sindacati
La verità sui dipendenti pubblici che non piace ai sindacati

Nel riquadro a sinistra abbiamo le retribuzioni del pubblico impiego di Italia e Germania e in quello di destra quello del settore privato, in migliaia di euro l’anno (retribuzioni medie).

Balzano all’occhio due cose:

  • che le retribuzioni pubbliche italiane, dal 2000 al 2014 sono state nettamente superiori a quelle tedesche: questo a fronte di un economia in crisi, quella italiana, e una in salute, quella tedesca. La differenza l’avranno fatta i fantasmagorici servizi alla popolazione di cui usufruiamo in Italia?
  • Le retribuzioni italiane nel privato sono la metà di quelle tedesche e sono, incredibilmente, nettamente inferiori a quelle della Pa italiana, a testimonianza che se è vero che i contratti pubblici sono bloccati da anni, ciò è dovuto alla follia di una crescita senza freno degli stipendi pubblici nel decennio 2000-2010.

Cosa ce ne facciamo di sindacati che nascondono una realtà come questa? A cosa e a chi servono? Intanto leggiamo qui, così titola Il Messaggero:

Roma, scandalo Atac: «Così i sindacalisti truccavano i concorsi».

Purtroppo in merito ai sindacati, non si vede all’orizzonte una Thatcher e nemmeno un Reagan. Ci accontenteremmo di uno Schröder, ma mi sa che nemmeno quello.

LA BUONA SCUOLA ITALIANA E LA SCUOLA CHE FUNZIONA

Nelle statistiche Ocse siamo ultimi per capacità di calcolo e penultimi per capacità di leggere e scrivere. I primi sono i finlandesi e i giapponesi. A volte, vedere cosa fanno gli altri non è segno di provincialismo: la Finlandia è una nazione che come noi è priva di materie prime e negli anni 70 era in una posizione di assoluta mediocrità nel campo dell’istruzione.

Proprio la consapevolezza di essere un Paese privo di ricchezze, spinse però il governo dell’epoca ad avviare una riflessione che coinvolse tutta le società, tutti gli schieramenti politici e che portò alla conclusione che l’unico oro disponibile era l’istruzione.

giannini-renzi_e-la-buona-scuola_zps363f7918Per questo fu avviata una riforma epocale della scuola, che si è svolta e completata in 20 anni (avete capito bene) con un sentiero tracciato e percorso secondo un piano graduale e consequenziale da tutti i governi che si sono succeduti da allora, indipendentemente dal colore politico e dai convincimenti personali dei ministri competenti.

Qui trovate il tutto ben spiegato. Leggete e provate a pensare a come è messa la scuola italiana, con ministri che devono sempre lasciare il “segno” del loro fugace passaggio (ma chi se la ricorderà più la Giannini fra 5 anni?) ribaltando quanto fatto dal predecessore, con riforme che immancabilmente si risolvono in assunzioni di gente non sempre idonea, sia da un punto di vista didattico che psicologico, a insegnare alcunché.

Dove i bravi insegnanti vengono umiliati dalla volgarità di colleghi incapaci e dirigenti (che un tempo si occupavano di vigilare sulla qualità della didattica) preoccupati solo di salvaguardarsi attraverso tonnellate di carta da firmare e da far firmare a sottoposti e genitori.

Ci sarebbe da scrivere un’enciclopedia su come da noi, nei decenni l’insegnamento è scaduto tanto che i ragazzi delle medie non sanno nemmeno bene quante e quali regioni compongono l’Italia (non parliamo dei capoluoghi di Regione). Tanto arretrato che ancora dopo 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, la storia, per i nostri ragazzi termina lì.

Ci sarebbe da dire tanto e da pensare peggio circa la reale volontà dei nostri governanti di istruire davvero le persone. Ma siccome non abbiamo tempo, leggetevi le classifiche Ocse qui.

Oggi sposi, un’unione felice
Oggi sposi, un’unione felice

In questo rapporto si certifica che il nostro sistema scolastico è al terzultimo posto in Europa, davanti solo a Grecia e Portogallo, per competenze acquisite.

In particolare siamo all’ultimo posto per la matematica e al penultimo per capacità di lettura e scrittura.

Tanto per capirci, un quindicenne su quattro è analfabeta in matematica. In altre parole non è in grado neppure di rispondere a una domanda di questo tipo: se per fare la torta al cioccolato per 4 persone servono 120 grammi di farina e 80 di cacao, quanto cacao serve per fare una torta per 8? Al massimo sa compiere operazioni semplici, addizioni e poco più.

D’altro canto mio figlio inizia le medie quest’anno: abbiamo ritirato i libri per le prime tre materie: scienze, tecnologia e geografia. In tutto sono undici libri. Ora, capite bene che con undici libri per tre materie in prima media, io mi aspetto che mio figlio a fine anno sia un piccolo Leonardo da Vinci.

Purtroppo questo non accade. Mi è capitato di accompagnare una terza media in gita a Mantova e, passando sopra il ponte sul Po, di far loro tranquillamente credere che il fiume in questione fosse il Don. E allora il sospetto che tutti questi libri servano solo ad alimentare una delle tante economie fasulle di questo Paese è quasi una certezza.

E qui sorgono spontanee due domande, una di carattere generale e una diretta agli insegnanti:

  1. dove pensa di andare un Paese che crea economie artificiose, come quelle legate al terzo settore, ai sussidi espliciti e mascherati (questo dei libri scolastici in quantità spropositata e che cambiano ogni anno edizione per una virgola in più o in meno, cosa è se non un sussidio mascherato alle case editrici a spese dei cittadini?) a ogni categoria, a spese ovviamente della ricchezza privata e del bilancio pubblico?
    Ma vi rendete conto che un Paese, che ha il tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa, ormai campa su una minoranza sempre più esigua?
  2. Nello specifico, non pensate insegnanti, di avere qualche responsabilità per questo andazzo? Perché continuate a imporre agli studenti questi testi palesemente sovraabbondanti, di cui una buona metà non sarà mai nemmeno sfiorata dalle mani vostre e degli studenti? Perché permettete che, per una virgola o una copertina diversa, quasi ogni anno i libri vengano pubblicati in edizioni “nuove” che di fatto vanificano ogni tentativo di avere un mercato dell’usato?
    Non vi rendete conto che in questo modo impoverite quelli che con le loro tasse pagano i vostri stipendi senza che questo sia garanzia di apprendimento?
    Io ho insegnato per 6 anni in un istituto superiore cittadino e una cosa l’ho imparata subito: la classe è dell’insegnante e non del libro. Gli allievi imparano per merito dell’insegnante e non di un testo scolastico o della Lim o di qualsiasi altra cosa che non siano le doti professionali, morali e umane del docente.
I principali prodotti della nostra scuola...
Senza offesa per gli asini: i principali prodotti della nostra scuola…

Capisco che questi argomenti sono scomodi e difficili da digerire, ma nessun Paese al mondo può assicurare benessere e civile convivenza senza che questi tre pilastri della società siano di qualità elevata.

La politica ha grandissime responsabilità in questa mediocrità assoluta: hanno voluto rendere questo popolo ignorante, hanno voluto piallare tutto verso il basso, alimentando, incoraggiando gli atteggiamenti più arroganti da parte dei meno capaci. Premiandoli anzi spesso, sin dalle scuole elementari, e promuovendoli a ruoli, nella società civile, per i quali poi si sono rivelati disastrosamente inadeguati.

È ora che i migliori la smettano di nascondersi, che inizino a affermare la loro superiorità intellettuale e morale e che pretendano che questa sia riconosciuta. Senza vergognarsene e senza farsi infinocchiare dal mantra dell’uguaglianza. Che fa solo il gioco dei furbi e dei prepotenti.

È ora di riscoprire e riaffermare il valore della rettitudine (ridete pure) come valore fondamentale da coltivare a livello personale e quindi sociale. Anche e soprattutto questa è economia, sana economia. Che produce vera ricchezza per tutti e non rendite parassitarie per i soliti noti.

FACCIAMOCI LE SOLITE QUATTRO RISATE

Ma ora un po’ di sano buon umore, visto che questa settimana – sarà il ferragosto, sarà la batosta del Pil – le news scarseggiano.

Vi ripropongo questa intervista del 2014 di Padoan al Corriere in cui, tra l’altro, afferma:

  • Giornalista: “Davvero non la preoccupa ministro la crescita zero del nostro Paese?”.
  • Padoan: “La crescita scarsa e la bassa inflazione mi preoccupano eccome, ma il dato dell’ultimo trimestre indica un punto di svolta”.

Infatti. Rileggetevela, tutta, con attenzione e riflettete su cosa è successo in questi due anni. Perché il controllo, pignolo, puntuale di cosa avevano detto e di cosa poi è stato, è la sana abitudine che appartiene ai popoli governati bene che alle elezioni vanno a votare ricordando le promesse fatte e le cose realizzate.

Raggi, prendi esempio per favore…
Raggi, prendi esempio per favore…

I 5 STELLE: C’È CHI ROMA E CHI TORINO

A quanto pare le frequentazioni della Raggi con Previti si fanno sentire a Roma. Non così a Torino dove si capisce molto bene la differenza tra la Appendino e gli altri. Infatti, lo staff di Appendino costa la metà di quello di Fassino. E un terzo di quello della Raggi.

INTANTO LE NOSTRE BANCHE

La settimana di borsa ha chiuso con il solito tracollo delle nostre banche:

Banco Popolare -4,12% , Ubi -4%, Generali -3,93%, Pop Milano -5,15%, Bmps -2,13%, Unicredit -6,01%, Intesa -2,74% .

In particolare voglio mettevi qui gli strepitosi risultati della nostra borsa dall’inizio dell’anno. L’indice è il Ftse e ha il peggior risultato a livello mondiale. Ma naturalmente la colpa è della Brexit.

QUEI GENI DEL CODACONS

Il disastro della borsa italiana
Il disastro della borsa italiana

Accade così che il Codacons (a proposito, lo sapevate che anche le associazioni dei consumatori prendono soldi dallo Stato?) propone una soluzione geniale per Mps:in particolare il Codacons chiede infine che il Ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan “organizzi, come azionista maggioritario della banca, una cordata di piccoli azionisti e lavoratori di Mps, finalizzata all’acquisto in blocco delle azioni che in tutto oggi costano meno di 500 milioni di euro, per passare così a una gestione finalmente non clientelare ma nell’interesse del territorio e del Paese”.

Bravi! Complimenti! Si vede che avete studiato tanto con ottimi economisti! Una domanda: la ricapitalizzazione da 5 miliardi di euro necessaria a tenere Mps in vita, chi la fa? I lavoratori? Voi di Codacons? Sì, direi proprio che la fate voi.

L’ARRAMPICATA SUGLI SPECCHI

Arrampicarsi sugli specchi: ma il governo non è una rana...
Arrampicarsi sugli specchi: ma il governo non è una rana…

Per chiudere, un paio di sfondoni agostani del solito Taddei, che su La Stampa, a proposito del mercato del lavoro ancora in crescita nel secondo trimestre malgrado il Pil fermo, dice: “In pratica il mercato del lavoro sta anticipando le prospettiva dell’economia di domani e questo fa ben sperare su come andrà di qui a fine anno”; e di Fortis (giornalista di punta del Sole) che sul Sole 24 Ore scrive che: “Tenendo conto che nel secondo trimestre 2016 anche Francia e Austria hanno avuto una crescita zero come il nostro Paese e che l’ufficio di statistica tedesco ha già anticipato che la spesa pubblica ha nuovamente dato un contributo molto rilevante all’ultimo 0,4% di crescita trimestrale della Germania, il quadro sopra delineato non dovrebbe essere molto diverso anche aggiornando la situazione al secondo trimestre 2016.
In conclusione, senza la spesa pubblica possiamo affermare che l’attuale profilo di crescita economica dell’intera Eurozona è “italiano” o, viceversa, che quello dell’Italia è in linea con quello medio dei nostri partner”.

In pratica il primo, da bravo economista piddino, sovverte le regole dell’economia dando un valore predittivo al mercato del lavoro rispetto al Pil, quando è vero esattamente il contrario: l’occupazione si muove in ritardo rispetto al Pil (quindi iniziate a toccare ferro per i prossimi mesi).

Il secondo, dal canto suo, ci sta dicendo che se sua nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata un carretto. Infatti ci dice quanto siamo belli, bravi e intelligenti, ma purtroppo abbiamo il debito pubblico, sennò saremmo er mejo Stato d’Europa.

Domanda a Fortis: ma chi l’ha fatto e continua a farlo il debito pubblico? La Germania o forse noi?

[Massimo Scalas]

[Fonti: Ocse, Il Corriere, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Fatto, Repubblica, Borsa italiana, Oxydiane.net, Mario Seminerio]

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