wonderland Italy. I NODI, IL PETTINE E I GAS DI SCARICO. 2

Il nuovo asilo di Norcia, iniziato il 29 novembre e consegnato il 22 dicembre 2016
Miracolo. Il nuovo asilo di Norcia, iniziato il 29 novembre e consegnato il 22 dicembre 2016

E MENTRE stranamente in gennaio sull’Appennino Abruzzese nevica, lasciando sepolti i terremotati dentro case scosse nuovamente dal terremoto; mentre a Norcia una azienda privata consegna in meno di un mese un asilo nuovo di zecca di 170 mq destinato a durare almeno per il prossimo secolo, noi non ci chiediamo come mai le strade sono, a distanza di 6 mesi, ancora ostruite dalle macerie, come mai in sei mesi sono state consegnate solo 20 casette provvisorie in legno dallo Stato (ve lo ricordate?

“Stavolta sarà diverso, cari terremotati, stavolta non ci dimenticheremo di voi”, lo ricordate Renzi? Delrio? Mattarella? Ma che fine ha fatto il piano Casa Italia? Forse è servito solo a ottenere dall’Ue altro deficit?), come mai il pubblico fa così schifo, sempre e comunque, quando si tratta di fare qualcosa che non sia aria fritta?

Non ce lo chiediamo ma continuiamo, come delle allegre comari, ad illustrarvi i mirabili risultati cui ha portato un ventennio di lassismo politico-sindacale, e anche e soprattutto popolare, inteso come popolo. Perché Sanremo è Sanremo.

FCA, SE STIAMO ZITTI FORSE NON SBAGLIAMO

Esemplare di bovino tedesco
Esemplare di bovino tedesco

Allora, reduci da bastonate in serie (a proposito, renziani, renziani! Dove siete? A falciar gramigna nei prati?), dopo un periodo di narcosi indotta, i nostri sono stati richiamati improvvisamente in vita dai tedeschi i quali, dopo aver constatato che nessuno in Europa diceva niente a proposito di Marchionne e soci, accusati dagli Usa di taroccare i gas di scarico dei diesel, si devono essere detti: “Ohibò! Sta’ a vedere che qui gli unici cornuti e mazziati siamo noi!”.

Accade così che in Germania è partito un coro: “E gli italiani allora?”. Tanto è bastato perché tutta la sarabanda mediatico-politico-istituzionale di epoca renziana si rimettesse in moto, cogliendo al volo l’occasione per sfoderare il meglio dell’arsenale di distrazione di massa.

Siì cari, la verità è che i tedeschi, se non ci fossero, i nostri politici se li inventerebbero subito: cosa c’è di meglio del ritorno al patriottismo pezzente, becero e di facciata, per distrarre la gente dai guai veri in cui ci troviamo fino al collo?

UN TESTE ATTENDIBILE

Ma noi di Linee, che siamo carogne sempre, siamo andati a spulciare niente di meno che l’Economist, il giornale britannico di cui l’azionista di maggioranza è Exor, la padrona di Fca, sì John Elkann.

Bene, vi metto il link, ma soprattutto vi metto il grafico che rappresenta l’esito di un test svolto dall’International Council on Clean Trasportation, sulle auto diesel delle principali case costruttrici, svolto in condizioni reali, su strada e non in laboratorio.

Vi ripeto, l’Economist è un giornale targato Fca: leggete e giudicate voi e paragonate voi la stampa anglosassone con quella italiana.

Il podio delle auto più inquinanti: Renault-Fca-Tata
Le auto più inquinanti: Renault-Fca-Tata

Il noto modello della Wolfwagen
Il noto modello della Wolfwagen

Avete visto? Alla luce di questo test mi pare che le polemiche di questi giorni si svelino per ciò che sono: nulla, un nulla su cui nulla si costruisce. E si vede che i tedeschi, cui lo scandalo dei diesel è costato la modica cifra di 20 miliardi di dollari (tra multe e risarcimenti) fanno bene ad incazzarsi (punto).

L’UE, IL DEBITO E BLOOMBERG

Ma andiamo avanti: qualche giorno fa, tra lo “sconcerto” delle verginimarieuscitedalleacque che bazzicano il Pd, la Commissione Ue ci ha chiesto, senza ultimatum, minacce e pugni battuti, come amerebbero far credere (e ci riescono pure…) lor signori, di fare una manovra correttiva di 3,2 miliardi di euro (ricordate che ve l’avevamo annunciata due mesi fa noi di Linee?) per rientrare nei parametri di deficit/pil previsti dai parametri Ue da noi liberamente sottoscritti.

Niente di più e niente di meno: siamo fuori, abbiamo torto, dobbiamo rispettare le regole che ci siamo autoimposti, con una manovra, di piccola entità, quindi niente di vessatorio o drammatico.

Ccari italiani, dormite pure sonni tranquilli…
Cari italiani, dormite pure sonni tranquilli…

Anche qui però è partita la grancassa, anche qui patriottismo spicciolo alla bisogna e anche qui abbiamo una testata straniera che ci spiega perché siamo arrivati a questo punto:

Bloomberg (riassumo ma fidatevi che è vero), infatti, ci informa che i due anni e mezzo di governo Renzi, quello dei bonus vari da 80 euro, quello che faceva scendere debito, pressione fiscale, faceva ripartire l’Italia e faceva piovere polpette sulle tavole imbandite, ha lasciato in eredità un debito pubblico aggiuntivo di 120 miliardi (pensate se restava altri due anni!) che fanno la bellezza di 2617 euro a testa, neonati compresi.

2617 euro in cambio di 80 in busta paga (per chi ha un lavoro ma guadagna poco, s’intende, ma non troppo poco sennò li deve pure ridare poi). Non male vero? Siamo così passati da un debito pro capite di 35mila euro a oltre 37mila.

Renzi e gli italiani [www.finanzaonline.com]
Renzi e gli italiani [www.finanzaonline.com]
Ma qui viene il bello, cioè il peggio:

  • il governo Prodi 2006-2008 fece scendere il debito pubblico pro capite del -2,1%, da circa 31.500 euro a testa a poco più di 30 mila
  • il successivo governo Berlusconi 2008-2011 ha fatto salire il debito pubblico pro capite da 30mila a 33mila euro, con un +7%
  • il governo Monti, tra fine 2011 e primavera 2013, ha fatto anch’esso salire il debito pubblico pro-capite del +5,5%, fino a 35mila euro
  • il governo Letta, tra la primavera 2013 e gennaio 2014, ha fatto salire il debito pro-capite del +0,9%
  • mentre il governo Renzi ha fatto salire il debito della bellezza di un +7,6%.

Cioè, dicono i numeri, sul debito Renzi ha fatto peggio di Berlusconi, che se ricordate aveva portato l’Italia sull’orlo del baratro. O almeno così ci hanno detto.

Questi sono fatti e numeri, non opinioni.

[Massimo Scalas – Continua]

[Fonti: Fondazione Leoni, The Economist, Fmi]

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