RICAPITOLIAMO. Domenica abbiamo smontato la tesi della Germania ingorda e cattiva, che infrange le regole col suo dannato surplus nella bilancia commerciale; ieri abbiamo iniziato a disintegrare il mito dell’euro che “ci ha ammazzato rendendoci meno competitivi”. Abbiamo dimostrato, attraverso il cosiddetto Reer, numeri alla mano, che non è vero.
Oggi completiamo segando l’altra gamba sulla quale, per ignoranza o confidando sull’ignoranza altrui, i signori che vogliono uscire dall’euro hanno costruito anni di bugie e piccole fortune elettorali.
Oggi parliamo dei tassi.
I TASSI D’INTERESSE
La leggenda per la quale uno stato che stampa moneta propria è libero di determinarne il valore, apprezzandolo o deprezzandolo alla bisogna (stampi di meno, si apprezza, stampi di più si deprezza e noi magicamente acquistiamo competitività), è un miraggio.
Questo è un concetto da sempliciotti (ma dei grillini non parlo ho detto!) o da disonesti intellettualmente (e non parlo nemmeno degli altri): parte dal presupposto che l’Italia sia chiusa in una bolla sospesa nel vuoto e non già una nazione inserita in un contesto globale interdipendente.
In pratica è come se una persona, per vedere, avesse bisogno solo dell’occhio e non anche di nervo ottico e cervello.
Per stringere, vi basti sapere che dagli anni 70 in poi la Banca D’Italia, non è mai, e dico mai, riuscita a influenzare i tassi d’interesse a lungo termine e quindi nemmeno il valore nei cambi della lira.
In particolare, negli anni antecedenti all’ingresso nello Sme (Sistema Monetario Europeo) quando fu lasciata libera di fluttuare (condizione ideale per chi pensa che basti stampare per svalutare), la quotazione è sempre e dico sempre, dipesa dai capricci della Federal Reserve, ovvero della Banca Centrale Americana (Fed).
I BEI TEMPI ANDATI QUANDO
LA FED DECIDEVA PER NOI
La lira era agganciata al dollaro; tant’è che quando il tasso d’interesse italiano era significativamente più basso di quello fissato dalla Federal Reserve (Fed), si verificavano fughe di capitali, deprezzamento del cambio, aumento delle aspettative di inflazione e conseguente necessità di riallineare il tasso d’interesse (dissanguando le riserve valutarie italiane e andando regolarmente a Washinghton col cappello in mano a chiedere prestiti agli americani).
LO SME
Fu proprio per questo che l’Italia aderì allo Sme, per sottrarsi alla dittatura del dollaro, con la quale gli Usa facevano di noi ciò che volevano (sì, Grillo; lo so che è una notizia shock per te).
In effetti durante il periodo Sme, l’influenza del dollaro sulla lira praticamente cessò. Ma poiché lo Sme era stato modellato sulle esigenze tedesche (allora davvero sì), non tenne e nel 92 saltò in aria.
L’EURO E I TASSI
Ma tutti avevano ben compreso quanto fosse fondamentale creare un’area valutaria forte che li sottraesse dal dispotismo del dollaro e così gli stessi tedeschi accettarono di diminuire notevolmente il peso della propria presenza nella nuova area valutaria.
A differenza dello Sme, che molti continuano a rimpiangere, oggi la Bce prende le decisioni di politica monetaria sulla base delle decisioni dei singoli membri, senza distinguere in funzione delle dimensioni delle economie che essi rappresentano.
In pratica, funziona come nelle banche popolari: una testa un voto indipendentemente dal peso economico e azionario.
Siamo così, oggi, al paradosso di una politica monetaria della Bce, messa in discussione tanto dai tedeschi, che si sentono sottorappresentati, che da parte di tutti gli altri che al contrario ritengono la Bce troppo condizionata dai tedeschi.
Secondo me la schiena dritta di Mario Draghi dovrebbe essere una risposta più che soddisfacente per entrambi. Ma cosa non si fa (e si dice) per un pugno di voti e una poltrona!
Fatta questa doverosa opera di recupero della memoria storica, passeremo domani alla questione finale, se cioè i tassi attuali stiano frenando o agevolando l’economia italiana: resterete sorpresi, viste le fregnacce che vi raccontano ogni giorno…
[Massimo Scalas – continua]
[Fonti: Sole – 24 Ore, Banca Regolamenti Internazionale, Ocse, Eurostat]