wonderland planet. BREXIT, TOPPATA GALATTICA. 2

FINANZA, UN RANDELLO SULLA NOSTRA TESTA

Sospeso sul nostro capo...
Sospeso sul nostro capo…

VIVIAMO un’epoca in cui cose apparentemente astratte e immateriali hanno una grandissima influenza sulla vita delle persone. La Brexit, è potenzialmente devastante per i mercati finanziari, perché mina alla base l’equilibrio dei cambi e le certezze che spingono le aziende a progettare e investire.

Accade così che da ozioso argomento salottiero, la finanza assuma in questi frangenti un’importanza per tutti noi che di solito c’è, ma non percepiamo: tutte le grandi crisi economiche partono e si risolvono in borsa. È per questo che non possiamo sottovalutare un evento come questo. I mercati non hanno i tempi della politica: occorreranno anni per definire la Brexit ed è proprio questo che crea ciò che la finanza odia di più: incertezza prolungata.

Così come nessuno penserebbe di acquistare una casa senza un reddito certo negli anni a seguire, il rischio concreto è che investimenti finanziari e nell’economia reale si blocchino, non solo nel Regno Unito, ma in tutta Europa, innescando una nuova (che sarebbe poi il continuo in peggio di quella attuale per noi) crisi finanziaria ed economica, in cui per economica s’intende l’economia “reale” (che poi tutto è reale, non è che ciò che non vedi non esista).

Non sono uno di quelli che è contrario ai referendum, a patto che chi va a votare conosca la materia, sappia cosa vota. L’ho già scritto una volta, il suffragio universale va bene a patto che chi vota superi un test di pura conoscenza circa la nostra Costituzione e le funzioni del Parlamento.

Troppi analfabeti in giro, troppi tifosi a far danni, pochi che vogliono davvero informarsi e conoscere i programmi, che verificano se le promesse sono state mantenute. Accade da noi, accade in Inghilterra e spesso sono dolori.

BREXIT, UN INCERTO FUTURO NELLA TERRA DI ALBIONE

Brexit
Brexit

E ora che si fa? Quali le prospettive a medio e lungo termine?

La premier scozzese Sturgeon
La premier scozzese Sturgeon

Intanto occorre rimarcare che l’esito referendario ha spaccato il Regno Unito come non era mai accaduto, mettendo in circolo un’ulteriore dose d’incertezza. Infatti come potete vedere Scozia e Irlanda del Nord si sono espresse chiaramente per restare nell’Ue e adesso il rischio, come ha chiarito subito il premier scozzese Sturgeon, è che la Scozia indìca un nuovo referendum per l’indipendenza da Londra e stavolta potrebbe anche andare in porto.

Intanto gli scozzesi hanno già annunciato di voler aprire i colloqui con l’Ue per restare dentro. Insomma un casino.

BORIS FA LO SPIRITOSO

Del resto pare proprio che i più sorpresi e preoccupati per la vittoria siano proprio coloro che hanno votato per andarsene. È di oggi una illuminante intervista di Boris Johnson a The Telegraph nella quale ci lascia tutti di stucco dichiarando che:

  • la Gran Bretagna è e resterà sempre parte dell’Europa (e fino a qui…)
  • verrà mantenuta la libera circolazione delle merci e dei lavoratori con l’Ue
  • vogliamo essere partner dell’Ue

Scusa Boris, vuoi forse dirci che avete scherzato?

CI SARÀ UN PREZZO DA PAGARE

3 «E ora? Che succede?»
«E ora? Che succede?»

In effetti la sensazione è che tra gli inglesi ora prevalga la domanda: «E ora? Che succede?».

La prima pagina del Financial Times di oggi inizia a dare alcune risposte perché vedete, cari lettori, il mondo in cui viviamo, è estremamente interconnesso, non c’è più il Muro di Berlino, in Cina si son dati al capitalismo e se salta in aria un pozzo di petrolio in Qatar sono cavoli amari per tutti.

Cosa voglio dire? Voglio dire che sebbene gli inglesi abbiano dimostrato a tutti che è ancora possibile, per i popoli, decidere di cambiare il proprio destino (ma poi vedremo se davvero glielo lasciano fare), è anche vero, che ci sarà un prezzo da pagare, perché nessun pasto è gratis.

NEMO FABER FORTUNAE SUAE (IL SOGNO…)

anagramma di dreamAdesso per l’Europa gira un bel cerino, che si chiama articolo 50 del trattato sull’Unione Europea.

Regolamenta le modalità con le quali le nazioni possono uscire dall’Ue (vedi).

Questo cerino balla tra Londra e Bruxelles, ma ancora non è chiaro chi dovrà accenderlo: pare che, in gran segreto (di Pulcinella), si stia tentando una terza via (truffaldina) che si basa sulla possibilità di indire un nuovo referendum dopo le elezioni, nelle quali, inevitabilmente da copione, trionferà, dopo una campagna elettorale, in cui gli elettori verranno spaventati ben bene, un partito pro Europa. Ci sarebbe una nuova (finta) trattativa con l’Ue con referendum a seguire e tutto finirebbe a tarallucci e vino…. Certo che ci divertiamo male noi adulti, eh?

Intanto però si è saputo che alcune grandi banche, come Merrill Lynch e Jp Morgan, stanno pianificando lo spostamento dei loro uffici da Londra a Dublino e Francoforte; la stessa cosa vale per importanti aziende automobilistiche come Tata Motors e Ford che potrebbero trasferire i loro stabilimenti (e ricordiamo che l’industria automobilistica è la prima industria del Paese).

E se ci rimettessero proprio loro...?
E se ci rimettessero proprio loro…?

Il suicidio della working class? Se ciò accadrà, è facilmente intuibile che la working class inglese, che ha votato massicciamente per il leave, potrebbe essersi liberata dell’Ue ma anche di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

QUELLO CHE I POLITICI NON HANNO SPIEGATO AGLI INGLESI

D’altro canto pochi sanno che non ci si libera mai davvero dell’Ue.

Infatti è il mercato più grande del mondo: ne sanno qualcosa la Norvegia, l’Islanda e la Svizzera, le quali – udite, udite – non solo subiscono, senza poter mettere becco, le decisioni del colosso Ue, ma, se ci vogliono commerciare, devono contribuire al bilancio comunitario.

Avete capito bene: «Altolà! Chi va là! Chi siete? Cosa portate? Un fiorino!”.

Il tutto si chiama Efta, che è l’associazione di “libero” scambio che regola i rapporti tra questi Paesi e noi.

[Massimo Scalas – continua]

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