UNA RINFRESCATA ALLA MEMORIA
Gli americani non hanno vinto. Hanno stravinto.
Oggi riprendiamo un argomento che interessa a pochi, ma che incide sulla vita di tutti: le quotazioni del petrolio.
All’inizio del 2016 le quotazioni del greggio erano ai minimi, tra i 25 e i 30 dollari al barile. L’Opec, e in particolare l’Arabia Saudita, stavano combattendo una guerra doppia. Commerciale contro i produttori americani di Shale Oil, un greggio ottenuto con un rivoluzionario metodo di estrazione per frantumazione dello strato roccioso che, come una spugna contiene petrolio dentro di sé.
Di supremazia regionale, nei confronti dell’Iran che, finito l’embargo, si riaffacciava ai mercati internazionali.
Noi vi demmo conto già allora di come tale guerra fosse destinata a essere persa dagli arabi, i quali avevano sottovalutato la capacità americana di innovare rapidamente la loro tecnologia in modo tale da abbattere i costi.
I sauditi calcolavano che i produttori Usa non avrebbero potuto reggere a lungo, un prezzo sotto i 60 dollari al barile: invece non solo hanno retto, ma sono stati in grado di restare sui mercati anche con una quotazione di 40 dollari.
I sauditi hanno finito col farsi del male e parecchio, prosciugando le riserve valutarie e arrivando a mettere una quota di Aramco, la compagnia petrolifera dello Stato, nonché la più grande al mondo, sui mercati.
Sono persino stati costretti a tagliare gli stipendi degli impiegati pubblici (comunicato il sabato, taglio dal lunedì successivo e niente sindacati: un sogno) e, orrore, a introdurre, per la prima volta nella storia del Paese, una tassa, l’Iva.
Alla fine hanno perso la battaglia; a novembre, insieme ai russi, l’Opec ha tagliato la produzione: le quotazioni da allora sono salite in maniera impetuosa (+10% in due mesi) arrivando a sfiorare i 60 dollari al barile sul Brent.
Già un anno fa vi abbiamo spiegato come fosse finita un’epoca, con gli Usa praticamente autosufficienti e in grado, in proiezione futura, di diventare esportatori netti di greggio.
Fine dei ricatti arabi, fine di un quasi monopolio, fine dei prezzi folli da 150 dollari al barile.
UNA FOLLE CORSA AL RIALZO
Ma in questi ultimi due mesi abbiamo assistito a un rally selvaggio su tutte le materie prime.
Gli investitori, dopo due anni di crolli a ripetizione, hanno puntato tantissimo su questo mercato.
In primis i fondi d’investimento, che sono andati a innescare un rialzo generalizzato che pareva senza fine, con le quotazioni di ferro, rame, ma anche cotone e altre ai massimi storici dal 2006, anno in cui sono iniziate rilevazioni costanti.
UN TONFO FRAGOROSO
Fatto sta che, apparentemente in modo inaspettato, mercoledì il greggio ha fatto un botto clamoroso, rotolando giù del 5% a fine giornata e perdendo un altro 2% il giovedì.
Venerdì è sceso ancora anche se di poco. Cosa è successo?
UNA SORPRESA POCO SORPRENDENTE
In realtà questo tonfo è stato preceduto da un segnale preciso: erano ormai 10 giorni che il cambio dollaro americano/dollaro canadese saliva a favore del primo.
Questo è un cambio strettamente legato alle quotazioni del petrolio, di cui il Canada è ricco nelle sue sabbie bituminose. Qualcosa bolliva in pentola.
I motivi possiamo riassumerli in tecnici, speculativi e legati ai fondamentali industriali.
FINANZA E SPECULATORI
Vediamo di spiegare: innanzitutto, dobbiamo pensare che, come dicevamo, questo mercato vedeva ormai da due mesi una salita esagerata dove tutti, fondi d’investimento, speculatori, banche d’affari, erano posizionati “lunghi” sul petrolio, cioè erano tutti in acquisto, mentre i “corti”, cioè coloro che avevano posizioni di vendita, erano diventati rari come la tigre bianca.
Qui bisogna avere chiaro il funzionamento dei mercati: affinché funzionino, ci deve sempre essere un venditore per ogni compratore, sennò, come è intuitivo, l’affare non si chiude e il meccanismo s’inceppa.
Quando, come in questo caso, le borse sono completamente sbilanciate in un senso, prima o poi è necessario un riequilibrio, una correzione, che è tanto più brusca, quanto maggiore è lo sbilanciamento tra acquirenti e venditori.
Inoltre i mercati oggi funzionano moltissimo in automatico, con mega computer che in base a determinati algoritmi fanno partire giganteschi ordini di acquisto o vendita in base a livelli tecnici di prezzo o a parole chiave collegate al rilascio di dati economici particolarmente importanti o alle decisioni delle banche centrali o addirittura alle parole dei governatori di queste.
Questi i motivi speculativi e di pura finanza.
I FONDAMENTALI
Ma c’è dell’altro. I tagli Opec non riescono a ridurre le scorte originate da anni di surplus produttivo: per farvi capire, nell’ultima settimana queste sono aumentate di 11 milioni di barili nei soli Stati Uniti.
Il ministro dell’energia russo, Novak, dichiara che le scorte russe ammontano attualmente a 24 miliardi di tonnellate di greggio.
L’INUTILE ATTESA DEL COLLASSO DELL’IMPERO
Dunque questa guerra si è risolta con una vittoria schiacciante dei produttori americani, che, col greggio a 60 dollari sono tornati in massa, velocissimi ad aprire innumerevoli nuovi pozzi, con investimenti a medio termine massicci.
Anche questo spiega il crollo degli ultimi giorni, con la quotazione ora a 49 dollari al barile.
Quindi, cari Carc, Trotzskysti e dialoganti sull’uomo vari, mettetevi il cuore in pace: l’Impero colpisce ancora e Luke Skywalker è dalla loro.
IL FUTURO
Naturalmente non siamo dei maghi, ma a questo punto è lecito ritenere che il greggio possa restare confinato per molto tempo in una fascia di oscillazione compresa tra i 40 e i 70 dollari al barile, almeno fino a quando le scorte non saranno significativamente ridotte.
Intanto preparatevi, perché, a mio avviso, si avvicina una drastica correzione anche per il mercato obbligazionario, dopo i record storici infranti a ripetizione dal Dow Jones.
Infatti gli aumenti dei tassi di riferimento, dati praticamente per certi da parte della Federal Reserve (Banca centrale americana), e la discesa in atto dei rendimenti dei Treasures (i titoli di Stato americani), che sono ora sotto il 2,6%, sono segnali abbastanza affidabili in senso negativo per il ciclo dei mercati obbligazionari.
Vedremo.
[Massimo Scalas]
[Fonti: Api, Investing.com]