OLTRE L’UNIONE
I COSTI CHE VERRANNO
C’è chi prima di varare le leggi, fa delle proiezioni econometriche per vedere gli effetti che tali provvedimenti avranno sull’economia nel tempo e chi no.
No, per una volta non parlo dell’Italia ma degli inglesi, che indicono un referendum con la certezza che non sarà votato e che poi si ritrovano nel panico a dover gestire un risultato imprevisto.
Bene, loro non ci hanno pensato, ma esiste una stima precisa nota da tempo che parla di un costo pari a 140 miliardi di sterline, un crollo del Pil del 7,5% nel corso di un decennio: l’avevamo già detto ma è meglio ripeterlo, la Gran Bretagna esporta metà dei suoi prodotti manifatturieri e finanziari nell’Unione e un altro 15 % viene esportato in paesi non europei sulla base di accordi fatti dall’Ue con questi paesi.
Viceversa, il mercato inglese per l’Ue è piuttosto marginale: indovinate chi ha il coltello dalla parte del manico?
GLI STRUMENTI FINANZIARI IN EURO
Il settore finanziario su cui i governi inglesi hanno basato il successo economico vale da solo almeno il 15% del Pil e vale quasi tutto il lavoro che esiste a Londra.
Questo è un settore che per esistere deve basarsi sul lavoro di cervelli che provengono da tutto il mondo e su leggi condivise e che quindi non è compatibile con restrizioni all’immigrazione e con legislazioni diverse da quelle comunitarie in materia finanziaria.
Il risultato è che le banche inglesi si stanno preparando in fretta e furia a trasferire le loro sedi in Continente e altre banche come Jp Morgan e Goldman Sachs se ne andranno armi, bagagli e dipendenti in Irlanda piuttosto che a Francoforte, con migliaia di posti di lavoro distrutti e i dipendenti, per lo più inglesi, costretti a scegliere tra la disoccupazione e il trasloco in terra straniera.
Ma c’è dell’altro: fino ad oggi l’Ue ha affidato il trading (commercio finanziario) degli strumenti d’investimento denominati in euro alla piazza di Londra.
Questa cosa nel medio periodo non può continuare: nessuna grande potenza può permettersi il lusso di non avere il pieno controllo del proprio mercato finanziario che tanto per capirsi è usato come arma economica dagli Usa per esempio.
Quindi anche qui ci sarà una perdita secca che non potrà non estendersi ad un indotto ancora difficile da quantificare: si stima che il 30% degli strumenti finanziari se ne vadano con un indotto coinvolto che vale il 10% del Pil inglese (gente che lavora, si sposta, mangia, dorme, beve, si diverte, va ai musei, compra vestiti e suppellettili, affitta case e va in palestra, al cinema…. perché da questo settore riceve uno stipendio)
UNA LUNGA TRATTATIVA
E I TRE ERRORI INGLESI
Quindi, come vedete abbiamo la certezza di alcune conseguenze negative, mentre per altre siamo nel novero delle possibilità. Tutto dipenderà da come sarà condotta la trattativa con Juncker e soci, che, non dimentichiamolo sono 28 e spesso in disaccordo su tutto. Abbiamo capito che sarà una cosa lunga, ma che sarebbe importante evitare il muro contro muro.
Sicuramente l’Ue (e Germania, Francia e Italia sono per una volta concordi) non ha alcuna intenzione di farli uscire gratis, anche per evitare che altri paesi si sentano incoraggiati a seguire la stessa strada e l’inizio non è promettente, con gli inglesi che vorrebbero raggiungere l’accordo per l’uscita contestualmente a quello per la partnership, mentre i secondi che vogliono che prima si saldino i conti sull’uscita e poi fare i nuovi accordi su persone, beni, servizi e capitali.
Il problema inglese, per quanto detto sopra è che uscire dall’Ue senza avere almeno degli accordi di transizione con essa, significa andare in caduta libera senza un paracadute.
Qui si scontrano davvero due esigenze diverse e inconciliabili: come garantire la circolazione di beni e servizi quando l’Ue pone come precondizione irrinunciabile ciò che ha decretato il successo del referendum, ovvero la chiusura alle persone? (nel senso che l’Ue non lo vuole e gli inglesi si)
Si capisce quindi che sarà dura, e sicuramente la premier May parte con alcuni clamorosi errori già sul groppone:
- avere minacciato l’Ue per assecondare le pulsioni popolari (leggasi, applausi a buon mercato)
- far credere alle persone che la Brexit sarebbe stata indolore. Come vedete non lo sarà.
- perseguire l’idea irrealistica di restare comunque nel mercato unico europeo chiudendo le frontiere alle persone. Non sono cose compatibili.
IL NODO SCOZZESE
A tutto questo si va poi ad aggiungere il nuovo referendum scozzese da tenersi entro due anni sull’indipendenza dalla Gran Bretagna e ci potete scommettere che stavolta andrà diversamente.
CONCLUSIONE
Brexit è il fallimento di una politica britannica, che ha puntato tutto sul settore finanziario e su una sola città che è Londra, con tagli fiscali per il settore in questione da paradiso fiscale.
Questo ha diviso il Paese in due creando enormi disuguaglianze interne, che a loro volta sono state il nutrimento al populismo di quel Farage che dopo aver vinto se l’è data a gambe levate, per non assumersi la responsabilità di spiegare ai suoi elettori che ora, il suo stesso populismo, per dare seguito a quanto predicato, avrebbe danneggiato coloro che aveva promesso di proteggere.
Ai tg non ve lo fanno vedere, ma lo sapete che, in un paese che importa più del 50% del proprio fabbisogno alimentare già ora scarseggia la frutta nei supermercati?
A me tutto questo ricorda una cosa che però non mi consola: la cialtroneria nostrana che dimostriamo ogni volta che diamo la colpa alla Merkel piuttosto che all’Ue per gli anni di malgoverno italico. Se tutto il mondo è paese auguri e figli maschi.
[Massimo Scalas – Fine]
[Fonti: Forexlive.com, Twitter, Radio 24]