wonderland planet. SUPERTRUMP. 3

Disoccupazione e Presidenti americani

L’INDICE Rasmussen, che misura il gradimento degli americani per il loro presidente, è alle stelle.

Trump nella sua conferenza stampa di giovedì ha citato questa cosa e le borse al top, a testimonianza degli “incredibili progressi” compiuti in un mese sotto la sua amministrazione.

“Il mercato azionario ha colpito numeri record – ha detto –. E c’è stata una tremenda ondata di ottimismo nel mondo degli affari, che per me significa qualcosa di molto diverso da quello che significava prima” (con Obama).

Tradotto: la crescita degli indici questa volta è un bene anche per i posti di lavoro (molto disinvolto dal momento che con Obama la disoccupazione è tornata sotto al livello pre-crisi).

GOLDMAN SACHS E GLI UOMINI DEL PRESIDENTE

La borsa americana, dall’elezione di Trump, ha guadagnato un valore di circa 3 trilioni di dollari, in gran parte nel settore bancario.

I dati aggiornati dall’8 novembre al 15 febbraio gli indici del settore finanziario riferiti al Dow Jones, Sp 500 sono saliti del 23%, ma i titoli del settore industriale sono saliti molto meno: l’8%.

In particolare l’indice Dow di una sola banca, Goldman Sachs, è salito del 40% contribuendo per il 20% alla crescita dell’intero indice.

La strabiliante ascesa delle quotazioni Goldman Sachs dall’elezione di Trump a oggi

Sarà una coincidenza, ma dai vertici di Goldman, provengono tre uomini chiave di Trump: il Ministro del Tesoro Steven Mnuchin, il direttore del Consiglio Economico Nazionale Gary Cohn, e il capo stratega Steve Bannon.

Gli analisti pensano che questo si spieghi con il fatto che gli investitori sono convinti che Trump stia per rendere loro la vita più facile, con l’abolizione della legge Dodd-Frank voluta da Obama all’indomani del disastro del 2008 e questo vuol dire, maggiori profitti.

Nelle ultime settimane abbiamo comunque assistito a un parziale riequilibrio nella distribuzione dei guadagni, dove gli indici azionari sono saliti “solo” del doppio rispetto a quelli industriali, il 6% contro il 3%

L’ALTRA PARTE DELLA STORIA

Ma c’è dell’altro: come ho avuto modo di dire in passato, Obama è stato un buon presidente, che ha ereditato un disastro (chissà come è che la memoria della gente e di certi editorialisti de La Nazione è così corta) da Bush Jr e lascia l’America con il più lungo ciclo economico di crescita dal dopoguerra.

E Trump, come vedremo, sta beneficiando di questo anche se vuole accreditare la tesi opposta: quella di un disastro economico (immaginario).

Indice di fiducia delle imprese ai massimi da dieci anni a questa parte

I dati economici invece sono di segno opposto, gli Nfp (Non Farm Payrolls, ovvero le nuove buste paga nel settore non agricolo, ovvero l’indicatore sull’occupazione più importante degli Usa) del mese di gennaio sono saliti oltre le previsioni, idem le vendite al dettaglio, i permessi per nuove costruzioni e l’inflazione.

Tutto ciò a testimonianza di un mercato del lavoro forte, tant’è che l’indice di fiducia delle piccole e medie imprese americane ha toccato il livello più alto degli ultimi dieci anni e l’Indice Philly Fed (Federal Reserve Filadelfia) sull’attività produttiva ha toccato il massimo da 33 anni a questa parte.

Trump non eredita dunque alcun disastro, semmai si trova nelle condizioni di chi parte per una regata di Coppa America avendo preso per tempo il lato giusto del campo di gara.

QUELLO CHE GLI INVESTITORI
NON VOGLIONO COGLIERE

Verso la fine del suo intervento al Congresso, è stato chiesto a Trump ciò che più sta a cuore agli investitori di Wall Street, cioè, lumi sul suo piano di riforma fiscale.

La risposta è illuminante, o almeno, dovrebbe esserlo…

“La riforma fiscale sta per realizzarsi abbastanza rapidamente. Stiamo mettendo mano all’Obamacare (il programma di sanità universale voluto da Obama e che Trump vuole smantellare). Dovremmo presentare il piano iniziale nel mese di marzo, primi di marzo, direi. Dobbiamo procedere, per motivi di legge e di bilancio, prima con la sanità e stiamo lavorando sulla riforma fiscale”.

Sordi volontari, il peggio del peggio

Ora, si dà il caso che a Washington, come nel resto del mondo, le riforme fiscali non avvengono mai “abbastanza rapidamente”, perché su questa materia si scontrano spesso esigenze contrapposte e trasversali agli schieramenti.

Per esempio i Repubblicani, il partito di Trump, sono da tempo spaccati, sul piano fiscale, per cambiare le imposte sulle importazioni ed esportazioni aziendali, così come appare complesso il dibattito su come procedere a smontare l’Obamacare, tant’è che alla fine non sembra che la cosa possa risolversi in modo rapido.

E fino a quando non si cambia l’Obamacare non si fa la riforma fiscale.

Perché? Mi dite. Perché l’Obamacare è una forma di sanità quasi universale ma a totale carico delle aziende e dunque, se non si scioglie prima questo nodo, non si può procedere con la rivoluzione fiscale.

L’impressione è che non sarà il 2017 l’anno della rivoluzione: scommettiamo che l’entusiasmo delle borse subirà uno stop abbastanza presto…?

[Massimo Scalas – 3 Continua]

[Fonti: Investing.com, New York Stock Exchange, Vox.com]

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